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SESTO FIORENTINO – La forza e la potenza del nuovo circo, o circo contemporaneo, sta nel creare un doppio binario di ascolto; se da una parte emergono i “numeri” e le evoluzioni artistiche ed acrobatiche degli interpreti, classiche del circo (senza animali), dall'altra, di fondo, si sviluppa una storia, un plot, una drammaturgia sulla quale si agganciano le varie performance dei protagonisti. Quindi non più soltanto una scena dopo l'altra ma un continuum di flash circensi legati alla narrazione. Due binari per soddisfare anche due tipi di pubblico presenti: i bambini, più propensi a godere, a bocca aperta e naso all'insù, del gesto, e gli adulti accompagnatori che, oltre al momento fisico, riescono ad apprezzare anche quello contenutistico e di senso. E i MadgaClan, giovane gruppo ma già esperto, sono tra i migliori in questo tipo di nuova filosofia e concezione circense che dà molto spazio alla scrittura e al teatro. E' il caso del nuovo “Emisfero” che ha “abitato” un parco cittadino di Sesto Fiorentino per tre settimane; abitato proprio in senso letterale con lo chapiteau blu ad incorniciare le nuvole scure di questo maggio e le roulotte della compagnia che ha fatto suo il parco, lo ha vissuto creando un'atmosfera magica (nonostante il tempo novembrino moltissime le presenze delle famiglie ad affollare il tendone) di lucine da varietà e pop corn, i colori pastello sfocati, l'aria vintage nostalgica che fa tornare tutti indietro nel tempo come fosse una fotografia seppiata e ingiallita.02-MagdaClan-Circo-Emisfero-Nicola-Zolin__web.jpg

“Emisfero” ha due accezioni: è una parte del globo terrestre come esiste quello cerebrale. Siamo di fronte ad un mondo che mischia la realtà e il sogno, sogno che a tratti diviene incubo, per poi trasformare nuovamente la vita reale dei protagonisti. Un Re (perché c'è sempre un Re nelle storie d'avventura) e la sua corte, un Sire (il cervello stesso) sempre annoiato e distratto, un Signore dittatoriale che ha tutto e non si rende conto della fortuna che ha e che dà tutto per scontato, considerando i suoi giullari (sinapsi e neuroni) come arredamento o oggettistica da utilizzare invece che vederli come validi collaboratori. Una favola anche sul cambiamento, sul ravvedersi, sul mutare opinione, sul tornare sui propri passi e capire che avevamo sbagliato in precedenza, chiedendo scusa non tanto a parole quanto nei fatti. Il Re, che si muove in hoverboard tra gimkane e zigzagate ardimentose, ci ha fatto venire in mente quello cantato da Dario Fo come la Regina scontrosa di Alice nel Paese delle Meraviglie, Gargamella con i Puffi (lotta e dipendenza reciproca) o, per salire di livello, Riccardo III o Macbeth, per finire con il patafisico Ubu Re.

Addirittura, raffinato tocco che apre e chiude la piece, escono da sotto un tavolo le mani dell'autore, ignoto e nascosto, che battono a macchina le parole che andranno a comporre la storia, il drammaturgo che fa vivere e aziona, attraverso la sua creatività e fantasia, i personaggi nati dalla sua immaginazione, finti in quanto pensati, reali proprio perché portati alla luce dal suo inchiostro. E' anche uno spettacolo sul liberarsi, dalle forme, dai preconcetti, sul rompere le catene dei ruoli e delle regole prefissate da altri, con questo Re che, dopo essere caduto nella ragnatela del sogno, ridestandosi, cambia atteggiamento verso le “persone” che lo circondano sentendosi finalmente sollevato, amato, capito e più felice perché ha attorno amici e non sudditi, fidati assistenti e non schiavi. Una costruzione ricca e profonda, di fatica fisica ed equilibrismi complicati, che è riuscita a ben coniugare corpo, muscoli e, appunto, cervello.

03-MagdaClan-Circo-Emisfero-Nicola-Zolin__web.jpg“Emisfero”
Regia : MagdaClan Circo
Interpreti e co-autori: Giulio Lanfranco, Davide De Bardi, Sorisi Daniele, Tiphaine Rochais, Lucas Elias, Elena Bosco, Achille Zoni, Antonio Petitto, Veronica Maria Canale.
Equipe tecnica: Giorgio Benotto, François Neveu, Meron Celentano; occhio esterno: Petr Forman, Roberto Olivan, Alessandro Maida; cura: Annalisa Bonvicini; disegno luci: Giorgio Benotto

Visione scenografica e proiezioni: Andrea Avoledo e Giovanni Iafrate; Costumi: Giorgia Russo; Allestimento: Andrea Avoledo e Elisabetta Maniga; Produzione: MagdaClan Circo, con il sostegno di: MiBAC, Ministero dei Beni e Attività Culturali, CIRQUEON Praga, Bunker Torino, Blukippe ginnastica – Padova. Coproduzione: FLIC Scuola di Circo, Dinamico Festival, La Corte Ospitale – Teatro Herberia residenze 2018.
Visto a Sesto Fiorentino, il 5 maggio 2018

Tommaso Chimenti 06/05/2018

Foto di Nicola Zolin

MODENA – “La vita è una combinazione di pasta e magia” (Federico Fellini).
Sembra di entrare in un lager o una mensa. O un sogno di Wes Anderson. O ancora un mondo distopico da serie tv dove prima tutto è allegro e frivolo e all'improvviso cala il gelo della scure. Gelo come la latta, il ferro del quale è composta la curiosa e originale scenografia confezionata di “Cantina” dei belgi Laika: una sorta di igloo-tendone con tavoli allungati e l'atmosfera da Oktober Fest. Dicevamo latta: di latta sono i vassoi, le pareti, i bicchieri con quel freddo che ti riporta alla padella ospedaliera o al vaso porta fiori da tomba. Il loro gioco infatti, di quest'allegra compagnia scanzonata, è quello che tutto non è ciò che sembra. L'occhio dice una cosa, il cervello la decodifica, il gusto e il palato rimangono sbalorditi: ecco che quello che credevi fossero patatine sono invece barbabietole, le polpette sono focaccia, il pesce è in realtà verdura, il succo all'apparenza all'arancia sa invece di cetriolo. Confondere i sensi. Si mangia in questa scatoletta; noi forse siamo le sardine compresse.CANTINA-Kathleen Michiels-2.jpg
Il meccanismo in inglese si basa sulla facile rima fish (pesce) - dish (piatto) – wish (desiderio) e nel corso della serata-musical si svelano gli ingranaggi di questo impianto ora bucolico e disneyano, adesso pulsante noir. Tre i grandi temi, trattati con leggerezza a pennellate dolcemente, niente di così ardito e politicamente ficcante: il cibo finto che il nostro mondo ci propina in sostituzione con quelli buoni e genuini di una volta, chiamalo CANTINA-Kathleen Michiels-3.jpgprogresso; il lavoro sottopagato e senza garanzie né tutele nelle grandi catene di distribuzione, non solo in campo gastronomico (da McDonalds al recente caso Amazon); l'aspetto ecologista e ambientalista dell'immensa quantità di plastica che ogni giorno l'uomo scarica in mare avvelenando i pesci e conseguentemente anche se stesso, nel corso della catena alimentare globale, mangiandoli.
Intrattenimento, niente più, sia chiaro, tra coreografie e balletti, figure addobbate con centinaia di posate e altri con decine e decine di guanti, chi ha gli spaghetti in testa, chi i cocomeri, chi le banane. In alto una barra-pannello, come quelle che cambiano e si modificano nelle stazioni dei treni, sembra dia informazioni e ordini a commensali e camerieri svampiti, confusionari e catastrofici (nella parte misteriosa ci ha ricordato il “Ristorante immortale” della Familie Floz) che pare governato da un dio, una macchina o un mostro che tutto mangia, inghiotte, fagocita, distrugge, fa in poltiglie.cantina2-1.png
L'aria è quella da “Piccola bottega degli orrori” in bilico tra il colore acceso e quel brivido di fondo dell'imprevedibile con entrate e uscite in puro stile saloon, con giacche di luccichini, il bingo che tutto trasforma in un Luna Park o in un matrimonio balcanico (le pietanze, tutte vegetariane, non sono il massimo anche perché contengono quel quid di repulsione alla vista che non aiuta), e le musichette tetre a sottolineare il momento epico di tempesta e sconquasso, ma tutto rimane in una bolla in superficie senza mai calare né calcare la mano, infiocchettando di frizzantezza non riuscendo mai a cavalcare né approfondire, ad andare oltre la coltre, a scalfire la buccia, a rompere la corteccia di questo ricevimento un po' folle e un po' stralunato. C'è magia e alchimia ma ci saremmo aspettati di più. Nel connubio tra cibo e teatro le Ariette do it better.

Tommaso Chimenti 07/05/2018

Foto: Kathleen Michiels

 

FIRENZE – Le case dei villaggi dei film sul Far West sembrano solide. Da lontano, in campo largo, appaiono stabili, di legno massello, con salde fondamenta massicce nella sabbia. Ma è tutta apparenza, esiste soltanto la facciata, tenuta su, dietro, da assi in diagonale per sorreggere la messinscena. La parvenza non ha il suo corrispettivo con la profondità. Entrando in quei saloon c'era solo terra riarsa. Tentando di cercare un minimo di profondità nella nuova opera del Cirque du Soleil si finisce a terra nella sterpaglia, si rotola al tappeto, si inciampa sui nostri stessi passi. Da molti anni il Cirque cambia il titolo alle proprie produzioni ma la salsa è sempre la stessa, pur nell'altissima qualità degli ingredienti: tecnica, interpreti e strumentazione. Un gran fiorire di costumi, un impasto tra musical e circo, atletismi d'ogni sorta e coreografie da etoile che creano immagini impeccabili e splendide suggestioni. Il Teatro latita, rimane la maraviglia, le botole che si aprono e si chiudono, che ingoiano o che lanciano fuori, le altezze e le costruzioni aeree, le funi e le altalene, i geyser che sputano fumo zolfino dal basso, le verticalità e le trazioni, i corpi scolpiti.Varekai2
Di fondo un grande perché che lascia insoddisfatto il palato, un vuoto che sentiamo concreto e tangibile sotto la spessa scorza di colori e girotondi, giravolte e piroette. Sembra che tutto l'armamentario di risorse messe in campo per "Varekai" (quaranta eccezionali professionisti sul palcoscenico del Mandela Forum; dieci repliche soltanto a Firenze) serva per distrarre e non per concentrare, serva per perdere contatto e controllo invece che fare adesione e abrasione. Una volontà di non far pensare a nient'altro che alla superficie della visione, usare gli occhi e le retine e non le sinapsi del cervello, fermarsi e fissarsi al bidimensionale imbrattando e infarcendo il tutto di decibel da stadio e cromature psichedeliche frastornanti.
In questa sorta di mondo alternativo e trasognante, molto ripreso da “Avatar”, tra grugniti e ruggiti e un vento ancestrale, si muovono questi esseri umanoidi primordiali e immaginifici misti ad animali preistorici, epici o mitologici che in alcune loro parti ci ricordano i caproni o il Dio Pan, i pesci degli abissi o anfibi pericolosi e serpenti biblici, altri sono fiammelle-anime da Divina Commedia, fino ad arrivare a spiriti veri e propri, diavoli per ogni gusto, giullari di corte, creature vitruviane, contornati da regine e folletti, elfi, stelle di mare e demoni, entità metà Varekai4Diogene e metà Zio Fester, centauri e tartarughe ninja, iguane e troll, dinosauri di squame e code e pinne, teschi e galli cedroni. C'è tutto il ventaglio e il panorama per Halloween e dintorni, cosparso di riti aztechi e sfide a colpi di spade che scintillano come in “Star Wars”. Un'immensa precisione, cura dei dettagli, forza e pulizia tecnica sono messe al servizio di una storia che sempre estratta da “Le mille e una notte” dove l'amore vincerà sull'odio e sulle diversità.
Tra gioco e inquietudine, cadute negli Inferi e riscosse, apparizioni e sparizioni, questo mondo sottosopra offre il suo lato più umano e accoglie l'angelo caduto dal cielo (potrebbe essere Lucifero), appunto scivolato dal blu dipinto di blu e dalle nuvole placide e pannose e ritrovatosi inerme, stavolta strisciante, in territorio sconosciuto e nemico. Ribelle tra i ribelli. Ha perduto le ali, non può rialzarsi ma viene comunque aiutato a rimettersi in piedi e infine, come qualsiasi favola infantile che si rispetti, trova pure il tempo di sposarsi. E vissero tutti felici e circensi.
Qui molta bellezza e perfezione nel gesto paradossalmente ammantano e guastano, occludono e anneriscono, consapevolmente, un risvolto debole che si sfalda con un grissino, un vuoto che fa eco. Rimane un grande cartoon d'animazione in carne ed ossa per famiglie. Abbiamo ancora bisogno di virtuosismi, orpelli e svolazzi, di merletti e origami scenici? Forse la risposta è Sì, e non è un gran sollievo. Esci fuori e hai una gran voglia di un panino alla porchetta per ritrovare poesia e mistero.

Tommaso Chimenti 30/10/2016

FIRENZE – I sogni, l'infantile gioco continuo del teatro declinato in versione circense. Che cos'è in definitiva il circo? E' l'impossibile rattoppato, è il vintage dai colori sbiaditi e sgualciti ma che contiene in sé luce e bellezza senza eguali, è contorsionismi e camminare sulle mani ovvero un mondo ribaltato dove tutto è possibile, un universo capovolto dove i bambini comandano e gli adulti stanno a guardare, un paradiso dove ci sono figure incredibili e donne alte tre metri. E così con “Extravagante” i MagdaClan hanno cucito le maschere fatte di pezza appena uscite dalla mente creativa e fervida della sarta, vera deus ex machina degli spettacoli di strada: ago e filo idea e produce anime che produrranno emozioni e meraviglia. Che il circo è anche riciclo, ridonare vita a quello che, nel mondo capitalista e consumistico, è stato messo da parte, allontanato, emarginato. Qui, in questa bolla di sapone atemporale, i freaks, qualsiasi essere, ha una sua valenza e importanza, una sua dignità di esistere.Magda2
Sotto questo tendone colorato, come le tende berbere o mongole o indiane, si raccontano storie millenarie spruzzate di fantasia. Perché, a volte, è bello credere all'impossibile e così facendo renderlo plausibile. Con la sua Singer che pedala e sferruzza e sferraglia, al sapore di “Fantasia”, compone un ventaglio di personaggi-alieni tanto inquietanti quanto teneri: esseri allungati, spilungoni come giocatori di basket e allampanati con al posto della testa (viene alla mente “L'uomo senza volto” con Mel Gibson) chi un lampadario, chi una abatjour, chi un megafono (sembrano la lampadina della sigla iniziale della Pixar).
Attorno a loro, ossimoro e matrioska, una sorta di cane da guardia piccolo circo in miniatura (li vendono all'Ikea; ogni bambino dovrebbe averne uno in camera, per nascondersi, crea mondi paralleli personali), prima tremante e tremolante, un tendoncino nano, timido e impaurito e poi morsicante come pitbull o rottweiler sbavante, alligatore o squalo bianco assassino, o addirittura troll fagocitante e cannibale come pianta carnivora famelica o piranha satanico. Ma è tutto un susseguirsi di figure e apparizioni, epifanie sul filo eterno del gioco, della parodia, mischiata con sottile e leggera arte alla poesia, frullata con la malinconia dei Noir Desire, velata di nostalgia, profumata di magia. Ne viene fuori un impasto gustoso, fragile e croccante dove trova spazio anche il critico che cerca parole altisonanti e paragoni eclatanti per spiegare l'inspiegabile, per cercare di razionalizzare ciò che non può essere tangibile, concreto, del nostro mondo terreno.
Magda1La danza incantata con un foglio bianco (le lettere mai spedite, le parole mai dette, le scuse mai pronunciate), che pare la piuma di Forrest Gump, che vola, rimbalza, senza mai toccare terra e sembra telecomandata o legata ad un filo, incollata alle mani e ai piedi del performer che lo accarezza delicatissimo come aquilone piegando le forze di gravità al suo volere, quasi domatore o incantatore di serpenti melliflui. E la donna che si rimpicciolisce in un sarcofago e lo scala come King Kong sull'Empire State Building, e l'uomo che gioca con le scale, da sempre simbolo di caduta ma anche di approdo alle nuvole, a Dio come Torre di Babele o novello Icaro, la scala che è fuga e libertà. Ma i trucchi sono belli proprio perché sono finti ma mai falsi, sono appunto deviazioni dalla realtà ma mai illusioni per frodare. Il velo cade e questo mondo stralunato e strampalato, vive e convive dietro le quinte pronto ad entrare in scena, a mostrare il proprio numero provato infinite volte e imparato a memoria, tutti dietro il paravento della felicità, aspettando il proprio turno, scalpitanti e frementi se ne stanno a rimettere a posto, rammendare, perfezionare il passo, la mossa, l'abito di scena. Un'iniezione di polvere di stelle: la stardust di Ziggy, dritta, sparata nelle vene.

Tommaso Chimenti 23/09/2016

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