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Prende vita tra i giardini dell’Istituto di cultura francese di Napoli e poi nella piccola sala del teatro Galleria Toledo il progetto di Renato Carpentieri di mettere in scena una serata con Albert Camus. L’attore e regista, reduce dalla vittoria del David di Donatello lo scorso marzo, si esibisce in una riduzione per la scena del romanzo La caduta di Camus, da lui trasformato in un notevole monologo, per poi vestire i panni di regista e attore del testo teatrale Il malinteso, scritto da Camus nel 1944 e portato in scena per la prima volta a Parigi nello stesso anno. L’opera racchiude molti dei temi della riflessione filosofica di Camus: l’aspirazione dell’uomo alla felicità che si risolve nella vanità di tutti i suoi sforzi, l’assurdità dell’esistenza umana, l’esilio, l’indifferenza di un Dio che finisce per negargli la possibilità di aiuto.  Camus 1


La vicenda ha luogo in un posto non meglio precisato dell’Europa centrale: due donne, una madre e sua figlia Marta, portano avanti una locanda – spogliata di ogni caratterizzazione tanto da renderla luogo simbolico – uccidendo alcuni degli avventori facoltosi e solitari che pernottano presso di loro. L’arrivo del figlio Jan, che si era allontanato molti anni prima per cercare fortuna altrove, mette nuovamente in moto il meccanismo: l’uomo decide di non rivelare la sua identità – contribuendo a forgiare quel destino di cui diviene quasi uno zimbello – e non viene riconosciuto dalle due donne, che decidono di attuare come sempre il loro piano. Sua moglie Maria, che insiste affinché Jan usi «parole semplici» e si riveli alla famiglia, viene quindi allontanata, mentre il giovane si sistema nella fredda camera in cui gli sarà servita una bevanda contenente sonnifero. Madre e figlia, per la prima volta, esitano nel compiere la loro azione criminale: la prima ribadisce numerose volte la sua fatica, quasi una stanchezza atavica o un male di vivere, mentre l’ostinatezza della seconda finirà per convincerla. Per la figlia, che ha trascorso le sue giornate migliori nel grigiore della locanda senza essere amata e considerata da nessuno, è questo l’ultimo delitto che la separa dall’inizio di una nuova vita in luoghi tropicali, vicina al mare in cui sogna di immergersi. Paradossalmente, è lo stesso Jan che la convince ad ucciderlo rinnovando nella sua fantasia le immagini di spiagge, fiori e primavere dei luoghi nei quali ha vissuto. Il vecchio domestico, l’unico che sin dall’inizio è consapevole dell’identità del giovane, non fa nulla per avvertire le donne e lascia semplicemente che compiano lo scempio: è il Caso, o Dio, nella concezione che Camus intende conferirgli, e il suo «No» finale – una delle due sole battute che Renato Carpentieri pronuncia in scena – alla richiesta di aiuto da parte della vedova Maria ne è la riprova. Camus 2


Madre e figlia, conosciuta la verità, si uccidono entrambe, ma spinte da diverse necessità e in modi diversi: la vecchia signora si abbandona nelle stesse acque del fiume in cui è stato trascinato il corpo del figlio, mentre la seconda fa riferimento ad una trave robusta di una delle stanze della locanda. Evidente la simbologia legata all’acqua, elemento che in tutte le culture fin dalle origini è emblema della purificazione: c’è qualcosa nella morte per acqua dell’anziana donna stanca dell’Ofelia shakespeariana e di quella, più recente, di Virginia Woolf che si abbandonava ai flutti del fiume Ouse, nel Sussex. Restano alcuni degli interrogativi posti dall’autore: perché il figlio non si riveli semplicemente alla famiglia, innanzitutto, e quale sia il compito dell’uomo una volta accettata l’idea che la vita è un assurdo che non può essere risolto postulando l’esistenza di una divinità. Eccellente la prova attoriale di Maria Grazia Mandruzzato nei panni della madre, che riesce a rendere con una recitazione calibrata e intensa, non banale la regia di Renato Carpentieri, sostenuta da una scenografia semplice ma funzionale e impreziosita dagli ottimi costumi di Annamaria Morelli. Nella spietatezza quasi senza confini della figlia, invece, si ritrova in parte il personaggio della Peste protagonista de Lo stato d’assedio del 1946, con cui condivide una battuta – «l’amore, che cos’è?» – e bisogna forse fare riferimento ad una battuta dello stesso testo di Camus per comprendere il significato ultimo dell’opera dell’autore: «Essere un uomo, questo m’interessa».

Pasquale Pota 25-06-2018

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