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Si ride amaramente alla serata di stand up comedy del Parioli Theatre Club

È una platea già carica come una bomba ad orologeria, quella del Parioli Theatre Club che accoglie, in una calda sera di inizio marzo, gli artisti che si sono sfidati a colpi di battute dissacranti, storie biografiche grottesche e aneddoti inverosimili durante la notte della stand up comedy venerdì 1 marzo. Il genere stand up è conosciuto in Italia soprattutto per le sue stelle d’oltreoceano, uno fra tutti Louis CK, che con i suoi monologhi assolutamente scorretti sotto ogni punto di vista (religioso, sessuale, morale), ma per questo irresistibili, ha denudato la società americana mostrandone il puritanesimo e il bigottismo, sciogliendo con l’acido le resistenze a parlare di sesso, di omosessualità, di religione e di blasfemia, delle più basilari e per questo censurate funzioni corporee.
È una platea già sufficientemente carburata a colpi di gin tonic e birre, quella del Parioli Theatre Club, come suggerisce Daniele Fabbri, stand up comedian rodato e animale da palco indomabile, che rompe il ghiaccio con il pubblico in veste di presentatore della serata. Presentatore a cui tocca il compito più arduo: rompere le resistenze del pubblico, non ancora abituato alla forza dirompente e dissacratoria di questo genere di comicità, spiegando i dos and donts della stand up. Il suo forte, lo capiamo subito, è la comicità che irride la religione: chierichetto nell’infanzia, proveniente da una famiglia fortemente cattolica, trova nella bestemmia la liberazione ma, come spiega nel suo monologo, non bestemmierebbe davanti a suo padre così come non si masturberebbe mai davanti a lui. E qui Louis CK avrebbe piazzato un bel “but maybe…”, sorridendo sornione all’abbattimento di ogni genere di tabù sessuale. Daniele Fabbri risolve quella che ha tutte le carte in regola per essere l’occasione perfetta per una battuta in maniera diversa, ma ci arriveremo dopo.
Gli artisti invitati al Parioli Theatre Club per denudare gli attoniti presenti hanno il pregio di essere fortemente eterogenei. Daniele Gattano, stand up comedian orientato su una comicità molto sassy, irride il mondo omosessuale spiegandoci come i gay si facciano tante paranoie quante se ne fanno gli etero quando si tratta di rimorchiare online, e frantumando ogni tabù in materia di disabilità quando fa una battuta su Bebe Vio che gela letteralmente il pubblico quel tanto che basta per guardarsi intorno e scoppiare un attimo in una risata liberatoria. Una risata dentro cui c’è tutta l’umanità che queste battute dal sapore proibito celano: Gattano è infatti autore di un video in cui affronta ironicamente il tema della sessualità nei disabili LGBT, e il suo è un ridere con, non un ridere di. Il pubblico se ne accorge e gli “perdona” la mancanza di sensibilità, caratteristica che non può che essere propria in un comedian che fa della comicità sprezzantemente aristocratica un irresistibile punto di forza.

La dirompente perfidia queer viene spazzata via da Davide Marini, che nella vita oltre al comico fa il doppiatore di animali in romano e che è, coerentemente, un vero animale da palcoscenico. Una fisicità dirompente, dinamica ed espansiva, una verve comica che condensa le sue disavventure amorose stravolgendo la frase fatta più abusata di sempre: “ci siamo lasciati per scelta di entrambi, sua e del tipo con cui se la faceva”, ovviamente senza l’eufemismo finale. Risulta decisamente sottotono rispetto ai colleghi Mauro Kelevra, comico di più recente formazione, che non ha ancora la completa padronanza dei tempi comici e che non risulta ancora abile a entrare in empatia con l’umore del pubblico. Il suo sketch sul tragicomico rapporto con la madre malata convince a tratti, risultando esilarante in alcuni momenti ma dando spesso l’impressione di voler strafare a tutti i costi, senza avere ancora gli strumenti per trasformare un tema difficile come il cancro in un argomento di risata.
La “quota rosa della serata”, come viene presentata da Daniele Fabbri, Martina Catuzzi, riprende il trend autobiografico- sentimentale, presentando una folle quanto travolgente teoria per cui gli uomini migliori sono quelli nati durante la Prima Guerra Mondiale. Il suo sketch risulta però ancora troppo dipendente da una sorta di codice di comicità rosa, per il quale gli argomenti di cui una donna può parlare per far ridere sono inevitabilmente legati al suo rapporto con l’altro sesso e alla sua autostima altalenante.
Daniele Fabbri chiude impennando a dismisura la pressione comica, trasformando la sala in una pentola a pressione nel suo monologo incalzante su religione, sessualità, infanzia, tabù familiari, che termina in una scena in cui mima la masturbazione per un tempo che, per molti comici, sarebbe stato difficile da sostenere senza perdere il filo del divertimento del pubblico. Tensione comica stemperata (è il caso di dirlo) in una blasfema abluzione mimata di liquido seminale sulle teste del pubblico, chiudendo così un cerchio di irriverenza cominciato con il suo primo monologo, e dimostrando una capacità di risoluzione dell’intreccio comico che non ha niente da invidiare ai grandi nomi della stand up comedy per la sua deliziosa e dissacrante aberrazione.

Giulia Zennaro, 2/3/2019