Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

"Sospetti": è abuso di potere interrogare un sospetto?

MILANO – Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Giulio Regeni, Giuseppe Pinelli, Stefano Cucchi, Jamal Khashoggi, Patrick George Zaky, Aldo Bianzino, Niki Aprile Gatti, Stefano Brunetti, Riccardo Rasman, Marcello Lonzi, Carmelo Castro. Non è una formazione calcistica ma solo alcuni casi (i più eclatanti mediaticamente, chissà quanti ce ne sono nascosti e celati tra le pieghe delle carte processuali o insabbiati dalla burocrazia) di cittadini, rei o meno, che, entrati in caserme o questure con le proprie gambe, ne sono usciti su una barella pronti per l'obitorio. Quello Stato che, proprio perché sei in stato di fermo e di custodia, dovrebbe “proteggerti” all'interno delle mura sicure della Legge. Proprio su una storia analoga alle vicende di casa nostra succitate, “tratto da una storia vera” che è capitata, capita e capiterà a qualsiasi latitudine (in questa lista potremmo metterci anche Gesù), il regista Bruno Fornasari (al quale piace mettere le mani nei bubboni roventi della nostra società e al quale le drammaturgie semplici e facili proprio non interessano) ha tradotto e diretto il testo “S.U.S.” che qui da noi è diventato “Sospetti”. Testo della fine degli anni '70 dell'autore, scrittore e giornalista inglese maxresdefault (1).jpgBarrie Keeffe (da poco scomparso), e che i Filodrammatici già misero in scena nel 2011.

Ma i tempi sono rimasti comunque difficili e il pezzo è e resta necessario per molti aspetti. Le persone, i cittadini si sentono insicuri e un giro di vite da parte delle forze dell'Ordine è sempre preso con più di un sollievo: metteteci la grande affluenza di persone che non hanno niente che arrivano da Paesi del Terzo Mondo ed alle quali viene dato tutto (il che crea squilibrio e disordine sociale), mettiamoci il buonismo strisciante per il quale il far rispettare le regole e le leggi sia fascista e di destra, mettiamoci il garantismo infinito e a volte esasperante, allora sembra che il comune cittadino (onesto) non abbia più armi per difendersi e speri sempre nella Polizia non tanto per avere giustizia, ordine, pulizia e rispetto delle regole né tanto meno vendetta, ma per poter vedere garantiti i propri diritti. In molte città italiane l'insicurezza è palpabile e il comune cittadino è senza scudi di fronte all'illegalità e alla microcriminalità, non sa come difendersi: il pensiero che però esistano le forze di polizia che, forse anche con il cosiddetto “lavoro sporco”, compiano indagini in quella parentesi di sottobosco, è un dato che da una parte rasserena e dall'altro protegge e salva in termini pratici.

Un giamaicano-inglese viene arrestato senza una prova certa, soltanto con una serie di indizi (razzisti?) a suo carico. Viene condotto in questura in compagnia di due poliziotti: vogliono che confessi l'omicidio della moglie trovata insanguinata in casa mentre lui era al pub. Non c'è solo questo: c'è degrado, c'è il sussidio che questa famiglia ottiene ogni mese, c'è un'illegalità di fondo, tre figli e un quarto in arrivo tutti a carico dello Stato e delle tasse dei contribuenti, c'è anche il senso di sconfitta e impotenza delle istituzioni e dei cittadini, la stanchezza verso questi grandi ed ampi strati della società che non fanno niente per migliorare, legalmente, la propria situazione ma attendono il reddito di cittadinanza o l'espediente che può capitare per racimolare qualche soldo, spesso in maniera non così onesta.

Il maxresdefault.jpgtema è: può la Polizia, ne ha facoltà e dovere, di fermare e portare in un luogo sicuro per un interrogatorio persone sospette? “S.U.S.” infatti significa Suspect Under Suspicion, un sospetto che è oggetto di sospetto, un sospetto preventivo (che molte volte è fondamentale) senza aspettare di arrivare al crimine e al reato ma cercando, navigando a vista nelle acqua sporche e fangose della criminalità, di proteggere e intercettare prima i possibili autori di delitti e infrazioni. Per far questo ci vogliono poliziotti e investigatori svegli e vigili e non ingabbiati dai lacci e laccioli delle carte bollate e della burocrazia. L'abuso di potere è sempre paventato. Ovviamente, dall'altro lato, una persona in stato di fermo non può e non deve assolutamente rischiare l'incolumità fisica (figuriamoci il decesso) durante un interrogatorio. Il confine è labile, il terreno scivoloso. Forse la società civile vuole essere sicura senza sapere che cosa avviene nel retrobottega dell'intelligence, negli scantinati della giustizia, nei bassifondi della ricerca dei colpevoli. Perché, parliamoci chiaro, la guerra è impari tra le forze dell'Ordine (e quindi gli onesti cittadini) e le organizzazioni criminali, compresa la microcriminalità che crea insicurezza e paura sociale. I cittadini chiedono il rispetto delle leggi e la certezza della pena ma spesso, quando la polizia riesce a prendere i colpevoli, i giudici li rimettono in libertà il giorno dopo. Da una parte c'è chi ha tutto da perdere e dall'altra chi non ha niente da perdere.

Basta guardare i dati delle carceri italiane (numeri e statistiche al 31 gennaio 2020, fonte: giustizia.it): sui quasi 61.000 ospiti delle carceri italiane, 20.000 sono stranieri tra i quali spicca il 12% dall'Albania, il 18.5% dal Marocco, il 10% dalla Tunisia, il 12% dalla Romania, l'8.5% dalla Nigeria. Se gli stranieri in Italia sono 5 milioni e 200 mila (dati del 2019) dobbiamo fare una semplice equazione: ovvero un terzo del totale dei carcerati proviene da un dodicesimo della popolazione totale. Lo squilibrio è evidente, salta agli occhi. Quindi, come nel caso della piece, la Suspect under Suspicion, in vigore in Gran Bretagna negli anni '70-'80, era una norma preventiva per proteggere la maggioranza dei cittadini.

All'interno di questa questura due rappresentanti delle forze dell'Ordine, il cosiddetto “poliziotto buono” (Emanuele Arrigazzi, efficace e cinico, severo e rassicurante, lucido) SOSPETTI.jpge il “poliziotto cattivo” (Umberto Terruso, quello che si “sporca le mani”, diretto e muscolare: formano un bel duo affiatato con ritmo in un'alternanza di ruoli e cambi di registro repentini) interrogano il sospettato numero uno per la morte di una donna, il marito (Tommaso Amadio con dreadlocks, il lato debole del triangolo sulla scena, sempre credibile e pieno, in parte, immerso). Certamente non stiamo trattando di Lombroso né di razzismo come invece l'autore vuole farci intendere in maniera politicamente scorretta e strumentalizzando la vicenda: in questo caso, anche se la legge S.U.S. dava adito e diritto di poter fermare qualsiasi possibile sospetto senza alcuna chiara incriminazione, viene condotto in caserma il coniuge, pronta e certa risposta (certo la più facile e semplicistica, ma si parte sempre da quella) alla gravità e alla contingenza accaduta (e la cosa appare plausibile: nella maggior parte dei casi di femminicidio l'autore del delitto è il coniuge o il compagno). Ma è anche una notte particolare, una notte elettorale dove la destra potrà portare via molti seggi alla sinistra (ci ha teatro.it-sospetti-SUS-.jpgricordato la notte tra il 20 e 21 luglio 2001 a Genova per il G8) e la Polizia, continuamente vessata (per pochi euro al mese) da migliaia di ladri, spacciatori, scippatori, sente in quella notte che il vento sta cambiando e ha una rivalsa: “E' arrivato il tempo che torniamo a fare i poliziotti e non gli infermieri”.

Certo c'è cattiveria e zero empatia da parte dei due investigatori nei confronti dell'accusato (che finisce, innocente, dentro un incubo kafkiano nel quale è preda impotente) ma è comprensibile e capibile. L'atmosfera è dura e crudele, cruenta e fredda, piena di pregiudizi, provocazioni e atteggiamenti persecutori. La sua libertà è limitata ma perché c'è un caso di forza maggiore e in quei casi la Polizia usa le sue “armi”, e le maniere forti, per arrivare (questo non dovrebbe travalicare) alla scoperta della verità nei tempi più rapidi possibili. Le regie di Fornasari ti mettono sempre con le spalle al muro e ti dicono/chiedono, scuotendoti, di prendere posizione, di essere attivo e dire e sostenere da che parte stai. Un teatro che divide, un pugno nello stomaco che però fa prendere coscienza e rende minimamente più consapevoli gli spettatori. In questo caso, meglio chiamarli cittadini. Tra giusto esercizio del potere ed abuso di potere a volte la distanza è brevissima.

Tommaso Chimenti

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM