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Il "Sogno" di Shakespeare al Globe Theatre di Roma

Non c’è forse luogo più adatto ad accogliere il “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare del Globe Theatre di Roma. La più nota delle commedie del Bardo, infatti, prende vita al confine tra la città – Atene – e il bosco, in cui il sovrannaturale incontra l’umano, dove la notte sbiadisce il confine netto tra realtà e irrealtà tanto da consentire l’apparizione di fate, folletti e delle innumerevoli creature che popolano il bosco. Gli elementi di fondo dell’opera, poi, sono già elencati nel titolo della stessa: alla notte e al sogno, si aggiunge il solstizio d’estate, il momento di passaggio dalla stagione primaverile a quella estiva, contrassegnata in varie culture e Paesi da riti e feste connesse alla fertilità. Tre, come è noto, sono i mondi – e almeno altrettanti i livelli di lettura – che caratterizzano l’opera shakespeariana: quello reale del duca di Atene Teseo e della futura sposa Ippolita, quello incantato del bosco popolato da ogni sorta di creatura, e quello degli attori popolani che, nell’amata tradizione elisabettiana del play within the play, provano nel bosco la Lamentevolissima commedia e la crudelissima morte di Piramo e Tisbe, tutta da ridere. 

Sogno 1

Il Sogno in scena al Globe è di provato successo e si ripete ormai da tredici anni. La regia di Riccardo Cavallo, oggi scomparso, accompagna ancora lo spettacolo. Grande spazio qui, forse troppo, viene dato al versante comico vero e proprio: la strampalata e inesperta compagnia di attori che prova la commedia di Piramo e Tisbe compie numerose incursioni sulla scena e il quintetto di attori dalla parlata partenopea, capitanati dal bravo Marco Simeoli, diverte e conquista il pubblico. Ad unire il mondo naturale e quello fantastico è il succo di viola del pensiero che Puck, interpretato da Fabio Grossi, stilla sulle ciglia di Lisandro attivando la serie di malintesi tra i quattro amanti ateniesi che sarà lo stesso folletto a dover risolvere, su ordine di Oberon. Lo stesso succo, poi, consente a Titania di innamorarsi di Bottom, che ha subito intanto una metamorfosi asinina. La sua passione per l’uomo-bestia è il lato più oscuro dell’eros rappresentato nel dramma. Buona la prova dei quattro amanti ateniesi, così come quella di Titania e Oberon, interpretato da Carlo Ragone che sorprende il pubblico anche cantando. La musica, infatti, gioca un ruolo fondamentale nella messinscena: la luna che osserva quieta la fuga nel bosco e segue dall’altro gli intrecci del dramma prende vita attraverso la Casta Diva di Bellini, più volte accennata con buona pace dei puristi. Sogno 2


Scarna la scenografia – come d’altra parte lo era nel teatro elisabettiano – ma d’effetto, allestita da Silvia Caringi e Omar Toni e buoni i costumi confezionati da Manola Romagnoli. In Sogno, che non prevede parti singole da protagonista, è la buona prova corale a fare la differenza. Qui è il riso, o meglio il sorriso, a vincere sul pianto e lo stesso Shakespeare sorride della sua storia nel finale tramite Bottom, che riprese le sue sembianze umane non è in grado di spiegare cosa gli sia successo e fornisce una chiave di lettura dell’opera affermando: «Ho avuto una visione incredibile…un sogno tale che nessun essere umano può dire che razza di sogno era». La stessa idea che fornisce la voce di Oberon fuori campo, quando riprendendo le parole dello spiritello Ariel della Tempesta afferma: «Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e la nostra breve vita è circondata da un sonno».

Pasquale Pota 15-07-2019