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Lucia Mascino in “Smarrimento” è le nostre paure, le delusioni, i dolori sommersi

CALENZANO – “In questi tempi di sanguinoso smarrimento, ordinato disordine, pianificato arbitrio, disumana umanità” (Bertold Brecht). Se ci si sente smarriti è perché abbiamo la netta consapevolezza di aver perso la strada maestra, abbiamo perso l'orientamento e siamo finiti “in una selva oscura che la diritta via era perduta”. C'è un bianco abbacinante in questo interno borghese, candido manicomiale: scrivania, libreria, gli stessi libri, il divano, la poltrona, tutto è di quel colore non-colore che attende di essere sporcato di vernice vitale. L'abito stesso della protagonista, le sue scarpe. A provare “Smarrimento” (prod. Marche Teatro; visto al Teatro Manzoni di Calenzano) è questo personaggio metateatrale, costantemente con un piede dentro e uno fuori dalla scena, dal testo. Due Lucia, Calamaro l'autrice Mascino l'attrice, hanno creato un impianto che funziona alla perfezione, una drammaturgia al tempo stesso solida ma anche malleabile, comoda, dove la monologante spazia, improvvisa, si sente a proprio agio, la fa sua, ci gioca, se ne appropria, la digerisce, ne fa poltiglia, la riprende, la accartoccia, la rende luminosa con cambi umorali da psicanalisi, sdoppiamenti di personalità in un vorticoso perdersi di voci.Smarrimento_Lucia-Mascino_foto-Kimberley-RossDSC7050-1-scaled.jpg

La protagonista interpretata dalla Mascino è una scrittrice con la sindrome della pagina bianca, vagamente snob, aristocratica, trasognata che si appresta a mostrarsi al pubblico per un reading. Diventiamo la platea dell'happening e il botta e risposta tra personaggio e pubblico si fa intensa relazione. Smarrimento_Lucia-Mascino-foto-Kimberley-Ross-DSC7712-2-scaled.jpgLa Mascino, nel pieno della maturità recitativa, è qui magistrale in un mix tra l'indecisione cronica della miglior Buy, il sarcasmo pungente di Franca Valeri, l'aria rarefatta di Laura Morante, l'ironia di Monica Vitti. Negli spettacoli precedentemente visti a firma dell'autrice romana (“Tumore”, “L'origine del mondo”, “La vita ferma”) la caratteristica principale emersa era una densa verbosità, una corposa prolissità, parole che allora ci erano sembrate più letterarie che teatrali, scorrendo con fatica dal boccascena alla sala. Questo “Smarrimento” invece è stata una vera sorpresa, una bella scoperta: qui c'è ritmo, velocità, un'armonia, una musicalità tenuta e orchestrata con grazia esperta dalla Mascino che tiene le redini del testo come del pubblico, spostando l'attenzione a piacimento, divertendosi, aulica e popolare, in questo affresco meschino e cinico delle nostre misere esistenze.

Woodyalleniana, incerta e titubante, salta da un argomento all'altro (nel rapporto con la platea per certi versi ci ha ricordato una sorta smarrimento-evi.jpgdi “Insulti sul pubblico” di Peter Handke in tono soft, mentre per l'ardimentoso oscillare delle parole senza una sua centralità ci è tornato alla memoria “Thom Paine. Basato sul niente” di Will Eno), si apre, si racconta instabile, si ritrae, si confessa, sproloquia in questo sfogo che ci porta sul bordo dell'abisso umano, trattato con leggerezza amarognola ansiogena, di squallori quotidiani che non hanno resa né soluzione. Lo smarrimento è quello della scrittrice, acidula, problematica, annoiata, infastidita, scocciata (si appunta idee e frasi che poi non svilupperà perché niente le sembra importante e tutto le pare una perdita di tempo), ma anche quello, in una triangolazione di specchi e riflessi, dei personaggi evocati dei suoi libri, Anna, il marito Paolo, i due figli, voci che si addensano e si affollano reali nella mente, nei dubbi, nelle pagine della protagonista che si sente braccata, in apnea da tutto questo coro che improvvisamente prende il sopravvento, la parola, lo spazio. Riempie con teatro.it-Smarrimento-Lucia-mascino-ph-Giulia-Di-Vitantonio-recensione.jpgi suoni delle parole un silenzio materico del quale, forse, ha paura, ha timore del vuoto, dell'eco dei propri pensieri, contempla la realtà più che viverla, non prova più piacere.

Se la forma è brillante, scorrevole, piacevole, un divertissement nel quale emergono e s'impongono le capacità attoriali della Mascino, l'intimità e l'interiorità del testo è caustico, profondo, aspro e doloroso di solitudini, di depressioni esacerbate. La sua esplosione dialettica rancorosa e delusa appartiene a tutti noi, ci fa sorridere per esasperata esorcizzazione, perché ben fotografa le piccole manie, le ripetute sconfitte di tutti i giorni, le incomprensioni, la mancanza di desiderio, la voglia di non aver più voglia. Sfrondato da questa sua forma brillante, “Smarrimento” si potrebbe sintetizzare con la battuta all'interno della piece: “Tu perché campi? Qual è il tuo buon motivo per vivere?”; la domanda risuona ancora calda, molesta, traumatizzante. Se ci pensi e non trovi risposte adeguate c'è di che smarrirsi.

Tommaso Chimenti 05/03/2023

Foto: Kimberly Ross, Giulia Di Vitantonio

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