Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

“Shenzhen significa inferno”: un inedito spaccato di realtà contemporanea

Uno spazio asettico, quattro sedie vuote, ciascuna con un numero impresso e una donna completamente vestita di bianco, fredda, glaciale, quasi un robot, un militare arruolato più che un addetto al personale di un azienda cinese: questo è lo scenario di “Shenzhen significa inferno”, spettacolo di Stefano Massini, andato in scena dal 26 al 29 novembre al Teatro Brancaccino di Roma.
Per sessanta minuti la donna sottopone quattro operai, due uomini e due donne, a un estenuante test per verificare chi di loro sia degno di lavorare per il prestigio dell’azienda “Oseris”.
I quattro operai, segregati in questa stanza, vengono privati della loro umanità, del loro nome, diventano numeri, semplici macchine in grado di assemblare schede madri dei nostri cellulari; non a caso non sono presenti sulla scena, sono fantasmi rappresentati da una cifra, né il pubblico può sentire la loro voce, le loro risposte, le quali giungono e ci vengono fatte intuire dall’inflessibile addetta al personale.
Dialoghi, agglomerati di battute sotto forma di un intenso monologo che descrive l’estenuante, straziante, prova psicologica alla quale sono sottoposti i quattro che devono dimostrare le loro capacità, la loro forza e anche le loro fragilità. Una tortura psicologica che tra improbabili prove pratiche e concettuali, li descrive, racconta le loro caratteristiche, le loro vite, aneddoti della loro esistenza e li pone uno contro l’altro, in conflitto tra loro e con loro stessi, facendoli dubitare di ogni cosa, di ogni loro abilità. Un gioco al massacro, una vera e propria inquisizione, quasi una psicanalisi alla rovescia, in cui la donna utilizza ogni espediente per annientare la loro autostima, per umiliarli, per tirar fuori il meglio e il peggio di ognuno, con un vortice di domande che li confonde, li annichilisce. Un continuo ottovolante emotivo senza tregua, che spiazza e sfinisce, una guerra emotiva in cui forse solo il più forte resiste e sopravvive. Ma alla fine non è tutto come sembra, ogni certezza scompare.
Sessanta minuti sul filo di un rasoio, costantemente in bilico tra paura, incertezza, realtà e menzogna, perché spesso la paura di perdere è più piccola della paura di vincere.
Stefano Massini dopo il successo di “Balkan Burger”, costruisce un nuovo spaccato di realtà contemporanea, ispirandosi alla storia vera della fabbrica lager cinese produttrice di cellulari, con una drammaturgia della domanda estremamente innovativa e toccante.
Uno spettacolo intenso, ipnotizzante, con un’atmosfera asfissiante, logorante, una regia particolare che cattura, coinvolge, fa riflettere tra giochi di luce e ombre, gesti, silenzi, parole accennate e l’accurato lavoro dell’unica interprete, Luisa Cattaneo, che da sola riesce a dominare la scena, e condurre gli spettatori in quello “Shenzhen”, che significa appunto inferno. Un inferno in cui uscirne vivi e’ un miracolo.

SHENZHEN SIGNIFICA INFERNO
Scritto e diretto da Stefano Massini
Con Luisa Cattaneo
Assistente alla regia: Duccio Baroni
Disegno luci: Carolina Agostini
Organizzazione: Laura Giannoni
Produzione: Il Teatro delle Donne con il patrocinio di Amnesty International

Maresa Palmacci 30/11/2015

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM