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Se pensi che Peppa Pig sia solo un cartone ti sbagli di grosso: lo spettacolo di Davide Carnevali all'Argot

Se in apparenza può sembrare una commedia senza grandi pretese, “Peppa pig prende coscienza di essere un suino - Extended” è tutt’altro. Sì, forse il titolo suggerisce già un certo grado di riflessione, di introspezione, di indagine mal simulata sulla condizione esistenziale dell’uomo-sfruttando-il-pretesto-di-un-cartone-animato-di-enorme-successo-che-solo-nel-2013-fece-registrare-al-Regno-Unito-un-business-di-300-milioni-di-sterline eccetera, eccetera. Ma l’opera di Davide Carnevali, interpretata dal one man show Fabrizio Martorelli, azzarda un po’ più in là, sbircia tra le pieghe di una società “neo-oligarchico mondialista” e “turbocapitalista” - per dirla alla Fusaro -, si interroga sui rigurgiti di un mondo consacrato al Dio Denaro i cui fini possono annidarsi anche dietro le sembianze di una maialina.

Andato in scena dall’8 al 10 febbraio al Teatro Argot Studio di Roma, "Peppa Pip Extended" ha debuttato al Festival 2030 di Bologna lo scorso novembre; dopo “Variazioni sul modello di Kraepelin” e “Ritratto di donna araba che guarda il mare”, Carnevali firma un’opera che intreccia pedagogia e spettacolo: un padre single a metà tra NAPALM51 e Christian Bale in American Psycho, forse affetto dalla sindrome di Tourette (quando si tratta dell’ex moglie, almeno), inìzia la figlia di “quattro anni e mezzo quasi cinque” a “emanciparsi dal sistema economico politico neoliberista” mostrandole come stanno realmente le cose. Secondo lui.

Sproloquiando di piani sequenza e long take “alla Eisenstein”, chiama la casa di distribuzione di Peppa Pig, cartone preferito della bambina, e si autofinanzia un corto muto in cui la viziosa maialina, accecata dal denaro, si decide a seguire due loschi agenti che le offrono un contratto vantaggioso - e che la sventreranno viva. Siamo figli delle stelle, pronipoti di sua maestà il denaro, direbbe Battiato.
Su un palco essenziale – due tavoli, due telefoni, un appendiabiti e una lavagnetta - questo padre single nichilista, fanatico e vagamente anarchico, pontifica sul senso dell’esistenza tra citazionismo bulimico ed estremismi educativi (lasciare la figlia al macellaio), con indosso una tuta da mattatore/detenuto di Guantanamo. Sì, perché dopo il successo mondiale del cortometraggio, troppo scomodo alle lobby del potere, la prigione chiama.

Seconda parte, entra in gioco un teatrante “wanna be” con passamontagna. Con una serie di magheggi si appropria dell’identità del padre single carcerato e inscena la grande truffa di Peppa Pig, la maialina che vive nel “migliore dei mondi possibili”. Chiude un pulcioso accordo con il Teatro Franco Parenti di Milano e produce una micro versione dell’opera. La riuscita è immediata, è conteso dalle più importanti realtà artistiche, la Biennale gli commissiona “una performance in cui distruggerò le opere di tutti gli altri artisti”. La risposta è entusiasta.

Dai testi ripetitivi (senza ragione) e l’ironia scorretta non sempre ben assestata (l’insistenza con cui insulta la ex, ad esempio), la pièce di Carnevali salta dal trampolino tragicomico per tuffarsi nelle acque paludose della satira sociale. Paludose perché non tutti ci sguazzano disinvolti, e lui galleggia a fatica.
Tuttavia, se la drammaturgia non convince completamente, l’interpretazione di Martorelli è efficace, si svincola agilmente dai tempi comici un po’ zoppicanti e consegna un personaggio dell’assurdo che è solido, ben strutturato, completo nella sua sfaccettata follia. 

Con il suo approccio surreale, a tratti grottesco, "Peppa Pig Extended" arriva comunque. Arriva perché parla di noi. Tra Marzullo, le Pussy Riot, l’Esselunga, Sgarbi, Angelica Liddell e Linsday Lohan, descrive una generazione che ha smesso di dialogare con se stessa di se stessa, che ha perso di senso critico e raziocinio, omologata agli interessi del mercato che, imponendoci le sue scelte, ci illude di scegliere.

Federica Cucci 12/02/2019

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