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"Ruy Blas" del Mulino di Amleto: come sarebbe bello se l'onestà vincesse sugli intrighi

TORINO – “Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno” (Martin Luther King). “In tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario” (George Orwell).

Le storie di cappa e spada ci hanno sempre affascinato poco. Ma ci siamo ricreduti. E Torino sembra avere una predilezione, sarà la vicinanza alla Francia, con questo tipo di rappresentazioni, basti pensare allo spassosissimo progetto di Beppe Navello al Teatro Astra di un paio di stagioni fa con “I Tre Moschettieri” e allo spettacolone di Luca Ronconi “Ruy Blas” del '96 doveRuy Blas Il Mulino di Amleto PH Manuela Giusto 5952 spiccavano, nell'ampio e fornito cast, Massimo Popolizio, Riccardo Bini o Michela Cescon. Ed è proprio a quest'ultimo titolo che si è appassionato il regista Marco Lorenzi, romano ma trapiantato sotto la Mole, ribaltandone i segni, l'estetica ma tenendo dritta la barra dell'essenza, anzi è su quella spina dorsale che ha focalizzato, sviluppato e argomentato il suo personale “Ruy Blas” (prod. In collaborazione con Kataplixi, Tedacà e Tpe; visto nella candida chiesa sconsacrata di San Pietro in Vincoli, il programma della stagione condivisa Fertili Terreni è ragguardevole e illuminante), fresco, contemporaneo, sciolto, talmente fruibile e che parla all'oggi ed a tutti noi, seduti a ferro di cavallo attaccati alla scena, che ne sarebbe stato contento anche Victor Hugo. La compagnia Il Mulino di Amleto (stimati anche dallo Stabile di Torino e ultimamente prodotti da Elsinor) è reduce dal successo del “Platonov” con il quale ha recentemente conseguito il premio “Klp Last Seen”, una bella iniezione di fiducia.

Ruy Blas Il Mulino di Amleto PH Manuela Giusto 6228Ma torniamo a questo Hugo asciugato, ripulito da inutili orpelli e reso funzionale, divenuto un soffio che parla non tanto ai nostri occhi quanto alle nostre coscienze e le scuote con vigore. Una piece altamente “politica” nel suo senso più alto e intimo che ci pone davanti alla domanda delle domande, quel “chi sono” che mette in crisi l'uomo fin dalle origini. Ovvero se ognuno di noi è ciò che è per genesi, famiglia, cognome, studi, onorificenze, portafoglio, ruolo e mestiere oppure se il nostro vero Io sia da considerarsi per l'esempio che diamo, non tanto per le parole ma per le nostre azioni su questa terra. E' questo il fulcro attorno al quale ruota tutto, è questo il perno sul quale Lorenzi, con una regia che non imbriglia gli attori ma li rendi compartecipi ed elastici, attenti e vigili e pronti, ha battuto inserendo (trovata geniale e assolutamente scardinante) all'interno della drammaturgia un commento scritto dello stesso autore francese dopo la prima parigina del 1838 ma che sembra uscito da una penna attuale.

Tutto è esposto, gli attori siedono tra il pubblico, inglobano due spettatori (compresa una ormai abusata Lettera che tanto sa di Totò) la scenaRuy Blas Il Mulino di Amleto PH Manuela Giusto 6571 minimalista di neon sottili a creare chiaroscuri inclinati, l'uso di cellulari e un fondale che si fa tavola, musiche azzeccate e cariche di intensità e lirismo (l'aria “Lascia ch'io pianga” e “Into my arms” di Nick Cave), e colpisce per il lampante che esonda da piccoli segni che diventano cifra e stile come la maglia della Regina (Barbara Mazzi sempre frizzante, meglio nelle scene furiose) dei Queen, giustamente, e quella della narratrice e dama di compagnia (Alba Maria Porto, regista in scena) che recita “Hero”, omaggio alla parola messa al bando in Turchia da Erdogan. Tutto ha un senso e prende colore e animo con un susseguirsi di azioni che almeno all'inizio appaiono sradicate e scollegate, i vari quadri in un continuo flashback e forward, ma che, proprio dalla lettera- dichiarazione d'intenti- j'accuse, si aprono e regalano un altro pathos, un'altra ventata e linfa armonica pungente facendoci saltare sulla sedia provocati anche noi dalle parole che sferzano e sbattono la nostra quotidianità.

Ruy Blas Il Mulino di Amleto PH Manuela Giusto 6694La storia la potremo riassumere pressoché così: un nobile (Don SallustioAngelo Maria Tronca il migliore sulla scena per distacco) cacciato ed esiliato dalla Corte si vuole vendicare della Regina che lo ha messo al bando. Con uno stratagemma, introduce nella casa reale un giovane servo (appunto Ruy Blas, Yuri D'Agostino prestante) per fare innamorare la consorte del Re che è sempre impegnato a caccia e la snobba. E questo ad insaputa del giovane e della stessa Regina. Se il piano andrà a buon fine Don Sallustio svergognerà la Regina smascherando il tradimento con l'aggravante della condizione sociale infima del servo. Intanto però Don Cesare, comunque da sempre perdutamente innamorato della Sovrana, questo il nome assunto da Ruy, si è fatto talmente benvolere a corte per le sue idee, per il suo spirito battagliero, la sua grinta pugnace e il suo decisionismo da maschio alfa, che è stato nominato Primo Ministro. Vincerà l'amore e la giustizia o il ceto? Trionferà la verità o le strategie losche?

Tra i dialoghi spumeggianti, ora ardimentosi adesso irosi, si inframezzano didascalie e note di regia come inserti per ricucire le scene: “DonRuy Blas Il Mulino di Amleto PH Manuela Giusto 6895 Sallustio sta a cento passi da qui” e il riferimento al nostro Peppino Impastato e alla sua lotta alla mafia. Dicevamo che è l'acuta e felice intuizione di intrecciare il testo con le parole di Hugo a creare uno scarto tra l'inchiostro di due secoli fa e catapultarci al nostro tempo. L'autore ci dice che esistono tre tipi di pubblico: quello che seguirà la trama, quello che avrà a cuore le passioni amorose, e per ultimo quello più sensibile che sarà appassionato dal pensiero che sta dietro la rappresentazione, in questo caso la lotta eterna tra quello che siamo per nascita e quello che siamo diventati per nostra scelta consapevole. Le parole che scorrono nella riunione con i ministri affaristi che si stanno spartendo il Paese a suon di leggi ad personam e stanno affamando il popolo (altro che brioche) sembrano scritte oggi per senso di protesta, per impeto che viene dal basso, per orgoglio e voglia di cambiamento che pare vergato per l'Italia, con la sua corruzione che l'ha indebolita e messa sul lastrico. Dobbiamo solo guardarci dentro e trovare, ognuno di noi, il proprio Ruy Blas in fondo al nostro animo. Forse è piccolo, ma c'è. Va solo alimentato e fatto crescere.

Tommaso Chimenti 31/01/2019

Foto: Manuela Giusto

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