Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

Print this page

"Rusina": storia di donne calabresi di tempra

ROMA – Negli ultimi decenni c'è stata una riscoperta delle lingue del Sud Italia. Non chiamiamole semplicemente dialetti. Il Napoletano da Eduardo e Scarpetta passando per Ruccello e recentemente Mimmo Borrelli, il Siciliano con Emma Dante, Scimone e Sframeli, Vincenzo Pirrotta, Rosario Palazzolo e Davide Enia. Mancava all'appello la Calabria. Grazie a Primavera dei Teatri, festival ventennale di Castrovillari, da una parte, che ha fatto fiorire una generazione in loco, ed ai Krypton dei Fratelli Cauteruccio, cosentini ma di base a Firenze (memorabile il loro “Finale di partita” tradotto), molti artisti calabresi sono saliti alla ribalta e ci hanno mostrato questa lingua affascinante e misteriosa, appuntita e acuminata, difficile e incantatrice: ecco appunto Scena Verticale, Angelo Colosimo, Rosario Mastrota, Ernesto Orrico. Ecco che in questo elenco spunta anche Rossella Pugliese, tosta e intensa interprete, oltre che autrice, del monologo “Rusina” (prod. Teatro Segreto e Deneb) dove alla dolcezza 960X960.jpgdell'argomento trattato, sua nonna, fanno da contraltare le sue parole acide, sanguigne, acute, quasi acerbe. Ci vuole un po' per entrare dentro le parole ruvide del suo mondo, quel mondo che la Pugliese riesce a tratteggiare e delineare nel passaggio-sdoppiamento autobiografico con l'ava in un cortocircuito nel quale Rossella presta corpo e voce all'anziana parente e interloquisce, nella finzione scenica, con la se stessa bambina. Certamente non è una lingua che al primo ascolto ti accoglie, non ti coccola, non è melliflua né accomodante, ma anzi è diretta, colpisce sfrontata senza carezze inutili.

Un inciso: “Rusina” è andato in scena all'interno della rassegna “Lo spazio del racconto” al Teatro Brancaccino, il ridotto del Brancaccio. Qui, da ottobre a maggio, si alterneranno ben ventuno spettacoli per una proposta di monologhi o per due attori, che vede nomi importanti come Ninni Bruschetta o Anna Della Rosa, Galatea Ranzi, Rossana Casale.

La DSF7528.jpgPugliese (vista ultimamente nell'“Edipo a Colono” per la regia di Tuminas e in “Patrizio vs Oliva” affiancando il grande ex campione di boxe in scena) ci apre le porte della sua memoria in una confessione che trova nella struttura che l'accompagna un altro personaggio, flessibile e alchemicamente malleabile, che con pochi tocchi e aggiustamenti dona, insieme all'uso sapiente delle luci (di Nadia Baldi), nuove atmosfere e situazioni ai quadri affrontati. E' una sorta di teca dove l'attrice si appoggia, si arrampica plastica circense, quasi cabina telefonica londinese dalla quale far uscire, come in uno show di burlesque, sinuosamente ed eroticamente le gambe, diventa armadio delle meraviglie (ricorda quello della pellicola “Le Cronache di Narnia”) e sipario di marionette, porta, casa e finestra, mansarda, cella, adesso tirando fuori la testa alla maniera di Antonio Rezza, ora è televisione dove poter guardare le storie patinate di “Beautiful”, diventa bagno e spogliatoio, alcova fino ad impersonare suo marito e ballarci insieme volteggiando. E la lingua ora si fa musica, con inserti ilari, adesso è baionetta tragica e battaglia, ora è armonia ora è un corpo a corpo senza esclusione di colpi, senza fare prigionieri: qui le parole sono materia e carne, fortemente legate a doppio filo alla realtà, alle cose, parole concrete, consistenti, dense, sillabe solide, compatte, resistenti, robuste, inscalfibili, pesanti.RUSINA7.jpg

Ci racconta una famiglia del Sud di quelle matriarcali, i valori saldi, quel Piccolo Mondo antico arcaico che non c'è più, vite dure, difficoltose. Ed anche la RUSINA88.jpgsomiglianza, con l'uso del trucco, in qualche modo a Frida Kahlo, metaforicamente ci porta verso quelle figure, certamente lontane dal poter essere considerate “femministe”, che però hanno lottato perché le loro esistenze non fossero schiacciate dalle consuetudini, dalla famiglia di provenienza, dai maschi, dalla religione: una lotta continua, strenua, senza mai poter abbassare la guardia, sfiancante. Donne che hanno combattuto per quel briciolo di libertà che si sono faticosamente ritagliate. Già dal nome, non Rosa che sa di candido e delicato ma “Rusina” (spettacolo vincitore di “Martelive” e selezionato per il prossimo Torino Fringe) che gratta sul palato come un coltello arrugginito, che graffia, che stride, che punge onomatopeico. “Rusina” è il passaggio, naturale e familiare, di testimone tra una nonna che ci lascia e se ne va, e una nipote che parte dalla Calabria per inseguire i suoi sogni: in definitiva Rossella è il prolungamento di Rusina e in questo spettacolo vivono e convivono insieme.

Tommaso Chimenti 24/01/2020