Dal 17 al 22 marzo va in scena al teatro Vascello lo spettacolo Hotel Belvedere di Ödön von Horváth.
Dopo averlo presentato in una versione croata al premio Roma di Gerardo Guerrieri nel 1978, a distanza di quasi trent’anni, Paolo Magelli è tornato su questo testo traducendolo per la prima volta in italiano. Tra gli attori, Marcello Bartoli affianca sulla scena la Compagnia Stabile del Metastasio - Valentina Banci, Francesco Borchi, Elisa Cecilia Langone, Mauro Malinverno, Fabio Mascagni. Con loro anche Daniel Dwerryhouse. Le musiche sono di Alexander Balanescu, le scene di Lorenzo Banci, i costumi di Leo Kulaš, le luci di Roberto Innocenti. Ödön von Horváth scrisse Hotel Belvedere nel 1923, all'età di ventidue anni. Nella prima stesura del testo, sul manoscritto, appare più volte la dicitura poi cancellata ma che sembra riemergere sempre e con forza, Hotel Europa.
Come ben sappiamo l'Europa che l'impero austriaco gestiva fu il primo tentativo di unire popoli diversi in un sistema di monarchia associativa. Franz Ferdinand venne ucciso a Sarajevo anche per la sua visione moderna e tollerante di questa idea politica.
Horváth era ossessionato dalla incapacità che l'aristocrazia e la borghesia intellettuale mitteleuropea mostravano nei confronti delle utopie positive.
Fu il primo a riconoscere che dietro la facciata della grandezza si nascondeva un mondo volgare, malato e esclusivamente legato al potere del denaro. Un materialismo che avrebbe portato direttamente al nazismo.
Il bambino Horváth aveva capito che dentro le cupole dorate dello Jugendstil, dietro gli ori di Klimt e dentro gli occhi dei personaggi di Schiele, c'era il vuoto e la disperazione.
Strano, ma l'Europa di oggi pare essere non andata molto lontano da quell'Europa di Horváth.
I sette personaggi che si incontrano nel polveroso Hotel Belvedere lo dimostrano in ogni atomo della loro presenza scenica.
In questo testo, infatti, si incontrano e si scontrano con indicibile violenza e humour noir tutte le classi sociali di una Europa senza amore affaccendata a salvare se stessa e a distruggere gli altri, i più deboli.
Questo testo non è soltanto un incredibile vaticinio che ci porterà agli orrori della Seconda Guerra Mondiale, ma ci lascia sconcertati perché in esso riconosciamo senza dubbio le inquietanti anomalie antiutopiche della storia che stiamo vivendo.
(Davide A. Bellalba)