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Roma: al teatro dei Documenti "Mind the gap" scritto e diretto da Paola Tarantino

Dal 17 al 22 febbraio al Teatro dei Documenti debutta Mind the gap-waiting for an Happy End con Diletta Acquaviva, Michele Degirolamo, Massimiliano Frateschi, Stefano Skalkotos, Paola Tarantino ed Emanuela Valiante, scritto e diretto da Paola Tarantino.

Sei personaggi e una panca. Sei individui alla fermata di una metropolitana, crocevia di una strada sotterranea da cui non si può risalire: bisogna andare. Si avvicinano l’un l’altro, si scoprono simili, ma ciò non basterà ad evitare il conflitto poiché ciascuno di loro  si nutre di un'inappagabile esuberanza che deve compiersi, deve esplodere, deve manifestarsi. La loro vita è su una corda che prima o poi si spezzerà e ci racconterà la loro storia comune: la corsa verso il suicidio.

Spettacolo vincitore del bando Mad Pride Torino, menzione speciale dell’IPA (International Photography Award’s) al progetto fotografico dello spettacolo realizzato da Laura Isaia, progetto fotografico vincitore del Premio Adrenalina.

Come spiega Paola Tarantino, autrice e regista di Mind the gap,nasce dall’idea inconfessabile di un pensiero suicida. Pensiero che una volta svelato trova quiete e anima nella lettura di un testo che propone una galleria di suicidi d’autore. Presenze brutali, neramente allegre, fin troppo vere, folli per i più, ma che hanno permesso al pensiero di acquisire forma e sostanza e diventare materia per la scena. Marina, Sylvia, Alfred, Abdallah, Mark, Sarah, sono persone che del suicidio ne hanno fatto una ragione di vita. Che dietro ai loro nomi ci siano poeti, funamboli, pittori, scrittori o altro è solo una congettura astrale che amplifica l’umano rapporto con la morte ad un atto di onnipotenza. A loro è capitato di nascere nel tempo “sbagliato” e nel corpo “sbagliato”, ma è proprio lo sbaglio che ne fa un’eccezione. Ogni suicidio è una progettata uscita di scena per strappare un grande applauso. È la ricerca, continua la Tarantino, di un frammento di eternità è la foto scattata in un giorno di festa che costringe a sorridere anche quando la festa è finita. Parole, gesti e immagini fotografiche non sono altro che le bisettrici che ci conducono ad un unico apice: la ricerca dell’eternità, la coerenza delle azioni, la smania dell’artista di esserci, di rimanere anche dopo la sparizione, sono parti integranti dell’operazione scenica. I sei, costretti da una situazione inaspettata, dovranno parlare tra loro, e il riconoscersi nell’altro sarà motivo di conflitto, l’attesa estenuante del fatidico vagone li porterà alla rissa e la “normalità” è ormai irraggiungibile. Lo spettacolo si nutre della volontà di indagare l’animo di chi ha determinato la propria vita dall’inizio alla fine e le conseguenze di questa determinazione. Vorremmo indagare il suicidio non solo nella sua forma più eclatante, ma tra le pieghe dell’esistenza, in quei piccoli suicidi che ogni giorno attuiamo terrorizzati dalla vita, poiché infondo sarebbe più facile non esserci.

 

 (Davide A. Bellalba)