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Ridere della malattia per vincerla: "Il ritratto della salute" con Chiara Stoppa

“Guarisci quando cominci a ridere della tua malattia”: è con queste parole, dette nella conversazione con gli spettatori che ha seguito la fine dello spettacolo, che Chiara Stoppa saluta il suo pubblico; un pubblico che ha conquistato, tenuto in sospeso, fatto ridere e piangere, nella tesissima ora e mezza del suo “Il ritratto della salute”, scritto in coppia con Mattia Fabris, regista dello spettacolo in scena al Teatro Argot Studio di Roma fino 31 gennaio.
Sono parole che sintetizzano bene lo spirito di questo lavoro, che mette lo spettatore davanti alla vita che si trasforma in teatro, al ricordo che si fa racconto, dal momento che quella che Chiara Stoppa porta sul palco è la sua vera esperienza, la sua lotta dura e terribile con la malattia: un tumore, un linfoma, che ha stravolto e travolto la sua esistenza quando aveva ventisei anni.
Il testo, pubblicato anche sotto forma di romanzo da Mondadori, nasce dai racconti fatti dall’autrice ad amici e conoscenti durante e dopo la malattia, quando in tanti le chiedevano della sua storia. È sola sul palco, perché solo sua è la storia che ci racconta: un calvario fatto di ospedali, esami, terapie, che si sviluppa lungo un arco temporale di un anno, tra l’estate del 2005, con i primi sintomi e la diagnosi tardiva, fino alla fine del 2006, il momento, cioè, in cui Chiara ha raggiunto una nuova consapevolezza, ha deciso di riappropriarsi del proprio corpo, come dice lei “prestato ai medici”, e di ricominciare a vivere.
Chiara c’è l’ha fatta, è guarita, ma mette bene in chiaro che la sua storia non ha lo scopo di dare consigli o risposte universali; è il racconto totalmente personale, insieme ironico e doloroso, di come lei ha affrontato, e a suo modo vinto, la malattia. A sorprendere è la forza di questa attrice, capace di affrontare tutte le sere in scena uno dei tabù della nostra società quale è la malattia (o forse più precisamente la morte, vero grande tema che tendiamo a rimuovere) raccontandolo a viso aperto con ironia; in questo modo, quella che dovrebbe essere un’esperienza da dimenticare viene trasformata in qualcosa che, invece, è importante raccontare, non solo per se stessi ma anche per gli altri.
Si ride molto durante questo spettacolo e non ci si sente per niente colpevoli, ci si commuove, senza sentirsi obbligati a farlo: le emozioni vengono fuori da sole, naturalmente, a dimostrazione che, pur passata attraverso la lente della trasfigurazione drammaturgica, la storia raccontata in “Il ritratto della salute” mantiene qualcosa di immediato, di spontaneo ma soprattutto di necessario e liberatorio.

Gianluca De Santis 30/01/2016

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