MODENA – Quando si parla di rilettura di un classico e di fedeltà ad un testo, di intenzioni originarie e allo stesso tempo universali quindi traslabili nelle epoche, il compito, la maggior parte delle volte, deborda in un atteggiamento che rivoluziona artificialmente per la voglia di stupire o strapazzare una drammaturgia bollata come stantia e vecchia. E' l'equilibrio, tra l'impianto primordiale e quella frescata di modernità necessaria, la cosa più complessa da ottenere senza forzare la mano, senza tradire, senza ribaltoni. Ecco, il “Riccardo III” (prod. Teatro Stabile Torino, Teatro Stabile Bolzano, ERT Fondazione) per la regia di Kriszta Szekely (che già aveva collaborato in Italia con lo Stabile di Torino con uno “Zio Vanja”) può riassumere felicemente le caratteristiche di unità e di difformità, di linearità e di testimonianza come di ricerca, di storicità come di attualizzazione in un lavoro continuo, certosino, paziente sulla limatura dei dettagli, sull'aggiustatura del tiro, sulla composizione delle singole scene senza perdere mai di vista l'ensemble. Per questo le tre ore filano via, nonostante il dramma, la tragedia e il sangue, come fosse un varietà, ma senza sforare nel ridicolo, saranno i colori e le luci sparate, sarà il filo rosso teso tra palco e platea, seppur nel dolore e nello strazio siamo coinvolti più in profondità rispetto alla commozione o alle lacrime superficiali, veniamo toccati nella disgrazia attuale che è diventata fondale e colonna sonora di quello che leggiamo, vediamo e che, come goccia cinese, non ci assuefà solamente ma ci cambia pian piano, modificandoci geneticamente, cinicamente, irrobustendo la nostra scorza-corazza ma quando, come in questo caso, si riesce a creare una crepa è da lì che fa più male perché entra più luce bianca e dolente. Nei confronti della sofferenza sovraesposta abbiamo obbligatoriamente prodotto gli anticorpi; per questo sentimento che, mellifluo e dolce e meschino, si insinua nella nostra carne, siamo invece senza difese, senza scudo, senza pelle.
In un'ambientazione di una casa-villa di campagna che può assomigliare anche ad una cattedrale, con le travi in legno a vista, quasi accogliente se non fosse luogo di morte, quasi colorata e allegra se non fosse luogo di cupezza delle emozioni, con sopra ad avvolgere tutto e tutti come un abbraccio fatato e fatale un lampadario che visivamente non può non apparire come una gigantesca aureola e sotto un tavolo da Ultima Cena o consiglio d'amministrazione, camino e televisione. Tutta la vicenda shakespeariana è volta ai nostri giorni tra dittatori (infiniti i ricorsi agli inserti dove riconoscere l'attualità stringente di volti e piccoli personaggi insignificanti che la Storia spazzerà via e polverizzerà nel dimenticatoio e nell'oblio) e comunicazione, tra strategie di guerra e marketing, bombe e propaganda che da molto tempo vanno a braccetto. Nelle trame, tra fondi illeciti e fake news, tra accuse di corruzione e spostamento dell'opinione pubblica, sembra davvero di stare dentro la cronaca quotidiana nostrana, e per nostrana è possibile leggerci nazionale ma anche europea, del Primo Mondo ma anche mondiale. Infatti il nostro Riccardo qui non è tratteggiato (e come sempre quasi scusato e giustificato per la sua malvagità a causa dei suoi difetti fisici) per la sua claudicanza o il braccio offeso, qui non si forzano questi aspetti, non si gioca sulla deformità del corpo; Paolo Pierobon (una grandissima prova, sempre altissimo vigore e intelligenza scenica, mai una nota stonata o bassa; uno dei giganti maschili del nostro teatro) riesce a dare ora quello shining frizzante delle pupille che sfrigolano, adesso cambi bipolari della voce (po(po)lizianamente o po(po)liziescamente), ora quella pericolosità imprevedibile di un bacio di Giuda dato da Iago come dell'abbraccio di un cobra o dell'amplesso della mantide religiosa.
Quello che impressiona è anche questo personaggio-non personaggio che troneggia sul palcoscenico in un angolo ma che si fa sempre più corposo e ingombrante, un corpo nero che cresce come un blob e non può non dare fastidio con la sua presenza all'occhio dello spettatore; è il cumulo dei morti uccisi per spazzare via (come Ubu roi) oppositori e pretendenti al titolo, osteggiatori o semplici contestatori, assassinati brutalmente e chiusi dentro buste scure da obitorio che lì campeggiano come una pira indiana, un ammasso a più strati di morbidezza scomparsa. Gli inserti contemporanei (la palla da fitness, la pistola, i telefoni cellulari, le telecamere, l'inflazione, i titoli di Stato, la Corte Suprema, i blog, i profili falsi per spargere veleno online fino alla testata nel petto di RIII a Catesby in versione Zidane) portano in due direzioni: da una parte la guerriglia dialettica della regista verso il potere villano e orbo di casa propria, l'Ungheria (quando Riccardo con un completo verde e la camicia bianca ha al suo fianco il consigliere Buckingham in rosso si forma cromaticamente la bandiera di Budapest e dintorni, ma anche la nostra...), comandata da Orban, dall'altro lo schieramento netto a favore dell'Ucraina (con la richiesta di invio continuo di armi) contro la triade del Male Putin-Cina-Corea del Nord. In quest'atmosfera da talk show, in audio ad affrescare ancora meglio questo Riccardo pierobonesco (superbo, tendente a Jack Nicholson) che istiga e ordisce, calunnia e scredita e infanga, che si lancia in un moonwalk da applausi, ora simile a Nerone adesso a Mussolini, ora potrebbe essere Berlusconi adesso Trump, ora Putin fino ad Hitler nel bunker, quella che pare una manipolazione della “Psycho killer” dei Talking Heads. Tutti i componenti del cast, dalle parti più consistenti e solide, a quelle più scarne, hanno mostrato grande varietà di registri e sfaccettature su un piano di qualità altissimo senza divari, da Elisabetta Mazzullo, potentissima nel ruolo di Elisabetta, convincente, altera e materica, mai sopra le righe, lo scoppiettante Francesco Bolo Rossini e la straordinaria Manuela Kustermann, così come la avvolgente Marta Pizzigallo e Matteo Alì o Nicola Lorusso o l'efficace Alberto Malanchino, l'esplosiva Lisa Lendaro e Nicola Pannelli, Jacopo Venturiero o Stefano Guerrieri, tutti, senza esclusione, sorprendenti, emozionanti, vitali, lucidi, innamoranti.
Tommaso Chimenti 11/05/2023
Foto: Luigi De Palma