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“Real Lear”, “InFiamma”: il Roma Fringe Festival tra classico e modernità

Scorrendo i titoli di questa sesta edizione del Roma Fringe Festival, non può non saltare subito all’occhio la ricorrenza di certi classici del repertorio teatrale: “Da Otello”, “Real Lear”, “Infiamma”, “Romeo era grasso e pelato”. A quanto sembra il teatro indipendente, o almeno quella parte di esso che si esibisce fino al 23 settembre sul palco di Villa Mercede, è una forma di spettacolo che gioca con la citazione e il riuso, ironico e spregiudicato, del repertorio di forme del passato, divertendosi con una tradizione che viene contaminata al punto da diventare altro da sé. E cos’è questo “altro” se non uno specchio su cui riflettere le contraddizioni di oggi, il qui e ora della società che ci circonda? In “Real Lear”, ad esempio, il monologo di Caterina Simonelli, per la regia di Marta Richeldi, presentato al Fringe dal 3 al 5 settembre, lo spettacolo si gioca tutto su una precisa dialettica degli opposti: l’unica interprete di questa originale riscrittura è continuamente dentro e fuori dal testo, impegnata, da un lato, a spiegare l’opera del grande drammaturgo inglese, dall’altro, a riportare il Lear alla storia della propria famiglia e più in generale a quella “realtà” chiamata in causa fin dal titolo. Fringe2Sfruttando al meglio una scena spoglia, quattro sedie su cui troneggiano i nomi di Lear, Cordelia, Edmund, e via dicendo, l’attrice entra ed esce dai panni dell’uno o dell’altro servendosi unicamente della propria voce, registrata o dal vivo, ma sempre capace di passare con uguale disinvoltura dal tragico shakespeariano ad un’ironia tipicamente contemporanea. Perché questo sembra essere il vero obiettivo dell’artista: raccontare una storia che ci riguarda un po' tutti, raccogliere quanto di universale e di “reale” c’è nell’opera del Bardo, per portarlo fino a noi.“Lear è mio nonno”, esordisce l’attrice. Ecco allora che Lear è solo il punto di partenza, un mero pretesto per soffermarsi su tematiche quali lo scontro padre-figlio, nonno-nipote e più in generale su quelle improvvise rotture, quelle piccole cattiverie tra parenti, che spesso e volentieri stravolgono le famiglie. È sull’onda di questa dialettica tra dentro e fuori, vissuto personale e collettivo, che si gioca questa personalissima riscrittura shakespeariana, ironica e leggera, una piccola saga famigliare che spazia dal passato dell’attrice al ruolo sociale del teatro, ma che soprattutto riesce a parlare al vissuto personale di ogni spettatore. Un obiettivo che sembra accomunare “Real Lear” a “InFiamma”, il dramma portato in scena dalla compagnia Il Girasole per la regia Fringe3di Simone Castano, con risultati decisamente differente. Partendo da tre testi della tradizione teatrale come il “Don Giovanni” di Molière, il “Caligola” di Camus” e l’ “Amleto” di Shakespeare, lo spettacolo si ripropone di sviscerare la naturale aspirazione dell’uomo alla felicità, simboleggiata dalla fiamma del titolo, che fin dall’alba dei tempi determina e guida le azioni degli uomini. Dei tre classici citati, però, è sicuramente l’opera di Molière ad avere la parte dominante nello spettacolo, almeno nella prima parte. Qui, infatti, un Don Giovanni un po' sottotono, accompagnato ovviamente da un dinamico Sganarello, è conteso da due sorelle, perdutamente innamorate e gelose l’una dell’altra. A fare da paciere tra le due, la madre, l’unica abbastanza saggia da capire fin dall’inizio l’inganno del noto libertino. Fin qui lo spettacolo procede sui toni della commedia brillante, tra inseguimenti, litigi, intermezzi musicali e amori che sbocciano a passo di tango. Un dinamismo che si perde quasi del tutto nella seconda parte, in cui, abbandonato il classico di riferimento, la rappresentazione si fa caotica, quasi incapace di reggersi in piedi senza il sostegno di quella struttura coerente che caratterizzava la prima metà. Tutto si riduce così ad un banale inno alla ‘joie de vivre’, che viene forse esplicitato con fin troppa retorica, già a partire dall’uso enfatico della musica di sottofondo. E nella scena finale, quella che vede gli attori riuniti tutti insieme di fronte al pubblico, fiaccole in mano, per dichiarare che “il più grande limite alla nostra felicità siamo noi stessi”, quello che inizialmente poteva passare per idealismo giovanile finisce per diventare inutile ostentazione di buoni sentimenti.

Desirée Corradetti
08/09/2017

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