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Quando i temi universali vanno in scena grazie a un romanzo: “Piccole donne” al Teatro Portaportese

In scena presso il Teatro Portaportese, “Piccole donne ovvero la storia di Meg, Jo, Beth e Amy”, adattamento teatrale italiano del celebre romanzo della scrittrice americana Louisa May Alcott.
La traduzione italiana fin dai primi decenni del ‘900 presenta una divisione del romanzo in due parti: “Piccole donne” e “Piccole donne crescono”. I due romanzi narrano le vicende familiari - le stesse della famiglia Alcott - delle giovanissime sorelle March durante l’assenza del padre partito per la guerra di Secessione seguite dagli anni di maturità delle giovani in cui le proprie singolari scelte di vita dettano il filo.
È interessante chiedersi cosa spinga, oggi, a mettere in scena un romanzo di fine ‘800 considerato, tra i molti generi che gli si attribuiscono, fra cui sentimentale e familiare, anche un esempio del genere di formazione usato, appunto, nell’educazione scolastica.
L’allestimento, ideato e curato da Michele Di Francesco, risulta ben proteso verso la trasposizione originale del testo e delle sue caratteristiche: si svolge, infatti, all’interno di una cornice scenica realistica, molto precisa e curata. Grazie ai costumi d’epoca, poi, lo spettatore è accompagnato al meglio nella storia, che è trattata non senza ironia e leggerezza. A volte, però, i tratti comici - quasi caricaturali - di alcuni personaggi oltrepassano il significato intenso e di spessore che avevano all’interno del romanzo, forse per lo stesso motivo di alleggerire la classicità del testo letterario. Indiscussa protagonista, drammaturgicamente e scenicamente, è Jo (Cristiana Mecozzi) - personaggio che rappresenta la stessa Louisa May Alcott - che si conferma come l’eroina del cuore dei fedeli lettori per via del suo carattere vivace e il suo essere indipendente che all’epoca dell’autrice la rese un personaggio quasi ultramoderno. A teatro resta motore di tutta la storia fin dall’inizio ed è voce narrante che unisce e mostra ogni avvenimento. Nella voce di Jo si intrecciano le storie individuali con quelle familiari; una famiglia che vive tra crisi, difficoltà economiche, sacrifici, rispetto e amore per il prossimo composta da quattro giovani donne all’insegna delle domande del cuore, delle invidie, delle sconfitte, dei sogni e dei desideri. Alla maturazione individuale si accompagnano parallelamente colpi, contraccolpi e assestamenti dell’equilibrio familiare, in una storia esemplare che ha come propri temi universali immortali come la vita, la morte, l’amore.
Ci si chiedeva allora perché proprio un testo del genere. Per quale motivo se non per i grandi assoluti, perché si rappresentino sempre in ogni forma e in ogni tempo? In effetti, il romanzo era già stato portato al cinema (nel 1918, nel 1933 e nel 1949 fino alla trasposizione più recente del 1994 di Gillian Armstrong) e ha avuto perfino una sua versione anime.
Perché non portarlo anche a teatro dunque? Potrebbe essere proprio la riflessione su romanzi planetari quella che continua ad attrarre i giovani lettori e che accompagna qualsiasi spettatore che abbia passato le proprie dita adolescenti sulle pagine nella ricerca di avventura nella normalità, amore nella distanza, sollievo nella morte.

Gertrude Cestiè 13/02/2016

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