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Punzo e Liddell: molti Misteri, pochi Fuochi

TARANTO/BRINDISI - Forse non poteva andare che così. Forse non poteva andare come poi alla fine è andata. “Misteri e Fuochi” si chiamava, di misteri pochi, di fuochi quanti ne volevi. Una grande manifestazione ad eventi, con abbaglianti momenti che si perderanno nell'oblio e che lasceranno poco sul territorio e nella memoria. Quattro grandi appuntamenti con sei star internazionali del teatro d'oggi, unico italiano Armando Punzo. Quattro città pugliesi, quattro luoghi “magici” che il TPP, il Teatro Pubblico Pugliese (poi qualcuno dovrà spiegare i perché della sovrapposizione tra il festival “Start Up” di Taranto con i “Misteri” nelle stesse quattro giornate, dal 24 al 27 settembre: misteriosa scelta), ha inanellato tra la città del mare piccolo e del mare grande, Brindisi, Lucera e Bari.
Un grande dispiegamento di forze (500.000 euro) per una montagna che ha partorito un topolino. Molto rumore per nulla, diceva il nostro. Sui quattro appuntamenti misteriosi e focosi abbiamo preso parte a due riflessioni sul tema: il “Paradiso” di Punzo e “Las portas de la carne” di Angelica Liddell (ormai innalzata a figura mistica e blasfema tra Madonna, Lady Gaga, i primi Magazzini Criminali e La Fura dels Baus) dalla quale ci si aspettano sempre bestemmie, iconoclastie, vergogne e pudori spudorati. La prurigine cattolica è una bestia dura ad essere debellata, non ne abbiamo gli anticorpi, il virus scorre nelle nostre vene impastato con quella cultura che troppe volte scade nel folklore.
Grandi strutture, grande impatto, grande maraviglia, supposta, grandi palcoscenici naturali, grandi processioni di pubblico (l'ingresso era libero), deportazioni, cortei, code per poter assistere a questi grandi momenti. Forse era troppa l'attesa e l'aspettativa, sta di fatto che il sentimento comune non è stato tanto lo stupore quanto una sottile e strusciante delusione. Se pensiamo ad altri appuntamenti simili, con spiegamenti di energie in campo corpose a livello di performer e organizzazione, ad esempio il “Ligabue” finale nella Bassa Padana di Mario Perrotta, evento unico e irripetibile (ma ricordiamo anche il “Venti anni” a San Lazzaro di Savena a cura dell'ITC), ci rendiamo conto come quest'ultimo rimarrà negli annali, nel tempo, nel ricordo, nelle immagini, nella mente, e questi Misteri di Fuochi fatui si spegneranno con il passare dei giorni nella pappa del recente passato. Un'occasione persa che non fa bene a nessuno.
Dell'installazione umana di Punzo non abbiamo ben capito il perché di una riproposizione di una processione (siamo al Sud, dove di processioni e di santi da portare in fila indiana ce ne sono una a settimana) senza scarto, senza un momento di stacco, di clou, senza la criticità che il teatro necessita. Momenti prevedibili, linearità, colori precisi, il bianco dei defunti, la morte nera, il fuoco rosso, i ceri dati alla platea nel campo sportivo, le bozze di pane come ostia, come comunione. Cose che in una qualsiasi messa vengono soddisfatte e rese visibili. La banda, i bambini, quindici croci gigantesche (le luci e i fumi creavano un effetto da concerto rock), alle spalle le ciminiere dell'Ilva che si ergono maestose e inquietanti con il loro respiro di veleni. Una trentina di figuranti, di bianco vestiti, cadaveri dai volti non paradisiaci, che si muovevano su questa piramide-Golgota perfettamente riconoscibile; ad un tratto è sembrato di essere sul set di quello spot del caffè girato sulle nuvole (impressionante il parallelismo con vassoio e caffettiera che si muovono tra i tavoli), in un altro passaggio immersi in una pubblicità di Dolce e Gabbana. Non ci si aspettava tanto il colpo di teatro ad effetto (anzi di “effetti” ce n'erano abbastanza) quanto quel salto, quella frattura che il teatro deve dare per suscitare riflessione e domande. La musica da sottolineature epiche, evocativa di bassi toccanti da kolossal ha creato una matassa di fumo(geni), un cilindro dal quale non è uscito nessun coniglio, una torta senza nessuno dentro. Molti segni in quest'impianto monumentale, in questa parata fin troppo leggibile.
Per la Liddell invece (hanno fatto scalpore ultimamente le sue dichiarazioni sulla masturbazione con il crocifisso) la suggestione iniziale rimandava alla performer denudè ne “La Grande Bellezza”, quella che dopo una sonora rincorsa va a schiantarsi contro uno spigolo, quella che, poi, vuol parlare di “vibrazioni” e degli abusi subiti da piccola. Tinozze dove lavarsi e purificarsi, canti e cantori religiosi, bambini che corrono, cori che si perdono nell'ancestralità del Tempo, la donna nuda che viene cosparsa di Nutella (fa tanto Rodrigo Garcia) e fiori, poi avvolta in un telo da Sindone fino alle sue convulsioni epilettiche in camporella. E poi ancora entrate e corse, una testa di porchetta su una portantina, rami d'ulivo a benedire o frustare, una Madonna molto Maddalena, un Cristo, anche lui nudo e imbiancato, che somiglia più a Sai Baba, a un guru indiano o a un santone Hare Krishna. Come se bastasse miscelare un po' di nudo, movimento e colori. Mixiamo i riti di perdono, fustigazione, sofferenza. Le croci poi alla fine si incendiano, comunque, nel falò che tutto purifica. Unica salvezza le voci di tre tentati suicidi (in qualche modo l'idea di fondo del “Pinocchio” dei Babilonia Teatri) che raccontano la loro disperazione però instradati e forzati verso la figura di Gesù in una dubbia e discutibile e faziosa riflessione-intervista sulla morte del figlio di Dio (per i cattolici) come se Cristo non sia stato ucciso ma sia stato “suicidato” (come Pinelli?). Una grande accozzaglia, miscuglio ibrido, calderone informe, guazzabuglio incolore, Zibaldone sciapo, porridge insipido, mosaico scialbo, confusione, pasticcio, minestrone: una grande abbuffata che ci ha lasciato affamati.

Tommaso Chimenti 14/12/2015

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