MILANO – Il titolo è dichiaratamente un omaggio a quelli tragicomici di Lina Wertmuller. E sta proprio qui lo snodo, lo scarto, l'ingranaggio tra il Nanni Moretti citato dalla piece e la regista napoletana presi a modello da due fidanzati trentenni o poco più. Lei gradirebbe un intellettuale contorto, pensoso e aggrovigliato sui massimi sistemi dell'esistenza, della sociologia urbana e dell'antropologia culturale, lui preferirebbe una donna ironica e pungente, senza peli sulla lingua, diretta, forte. In definitiva nessuno dei due realmente vorrebbe, perché non saprebbe gestirli e ne risulterebbero schiacciati, Moretti o la Wertmuller, troppo alti, troppo impegnativi, troppo avanti, troppo oltre le loro umane e misere possibilità di convivenza, di relazione, di scambio emotivo, umorale, sessuale.
Due comuni ragazzi cresciuti, un po' Peter Pan con la testa ancora ai jingle e ai fumetti generazionali, complessati, immersi in paure, fobie più indotte da falsi miti che reali, in quel limbo di postadolescenza infinito che non passa mai tra colorati interessi e frivolezze d'ogni tipo. E' il maschio di turno (e qui si capisce che testo e regia sono di stampo femminile, Livia Ferracchiati, anche se dolce e docile, quasi rassegnata ad avere davanti a sé un eterno bambino) che ne esce peggio, con le ossa rotte, con una descrizione a metà tra un primitivo che non ha coraggio fino in fondo delle proprie azioni, in quel liquido amniotico dove tutto sembra essere plausibile e concesso, in quella parentesi d'infanzia consolatrice, parco giochi dove la mamma è sempre lì al tuo fianco, in un angolo, pronta ad accorrere se l'ometto di casa si sbuccia le ginocchia.
Forse è proprio colpa delle donne, prima le madri e poi le fidanzate, se molti maschi non diventeranno mai uomini e saranno sempre perdonati per le loro scorribande e maldicenze, maleducatezze spicciole o gravi, le loro parole, le loro azioni scoordinate senza temere conseguenze. Questa donna (Chiara Leoncini, troppo comprensiva e indulgente) abbozza tentativi di redimerlo, cede e concede terreno, si scusa, fa finta di niente, rintuzza, ritorna, abbandona il campo della discussione, lo consola, lo ascolta, lo fa sfogare. Il maschio (Fabio Paroni, esagitato e sudato) è insicuro e traballante nelle sue poche certezze da cavernicolo (il possesso della donna come bene personale, la gelosia retroattiva), è rabbioso, abbaiante, sbraitante con la bava alla bocca, digrigna i denti in quella che potrebbe essere l'anticamera di una violenza domestica, aggredisce perché ha paura (e non deve essere in alcun caso una giustificazione).
Una giovane coppia con fondamenta instabili che mette sul piatto tematiche un po' retrò e argomenti di collisione superati, pseudo fratture insanabili, come le dispute di stampo sessuale, che i ragazzi d'oggi, quelli dell'amore liquido e dell'abbattimento della famiglia tradizionale e dell'ambiguità sotto le lenzuola, o hanno bypassato o azzerato o mai considerato come dubbio o problema da sviscerare. In audio passano le giovani voci di Nanni Moretti come di Laura Morante in “Bianca”, con entrambi che hanno costruito le loro vicende e fortune cinematografiche (e forse anche autobiografiche) sull'instabilità e sul tremolio dell'indagine personale, sugli interrogativi esistenziali applicati alle quisquilie e alle virgole, su quel ragionare aggrovigliante sul sesso degli angeli, su quella dissertazione enigmatica e problematica lontana dal contingente, dall'oggi, persa nell'idealismo, nel pensiero, nella dialettica.
La loro casa è un cubo di Rubik in discesa che si compone e si rompe, che si frattura e si riallaccia nelle sue divisioni e segmenti, distanze e ponti. Di fondo è la ricerca della felicità il mestiere più complicato e il cercarlo in due, o grazie all'altro, è esercizio fisico e psicologico ancora più complesso e articolato in questo mondo frazionato (multitasking è più alla moda), individualista e solitario. Si sente e percepisce astio e acredine, desiderio di ammansire e soffocare gli istinti dell'altro in questa casa-arena, abitazione-corrida dove invidia e gelosia si rincorrono, dove la libertà dell'uno (soprattutto del maschio pseudo-alfa) sconfina pericolosamente nello spazio vitale dell'altro, per assoggettarlo, come se fosse un Risiko, castrarlo, metterlo nell'angolo, prostrarlo ai propri voleri. Forse è questo l'amore: da una parte dipendenza, dall'altra patologia. Le frasi: “Se muori prima di me ti ammazzo”, “Per più porca non ti volevo dire di essere Peppa Pig”.
Visto al Teatro Elfo Puccini il 19 marzo 2016
Tommaso Chimenti 21/03/2016