Questo sito utilizza cookie per migliorare la tua esperienza di navigazione e rispetta la tua privacy in ottemperanza al Regolamento UE 2016/679 (GDPR)

                                                                                                             

"Persona" di Bergman attualizzata da Biselli: riflessione sulla finzione

PERUGIA – “Per me recitare è la via più logica per far sì che le persone manifestino le proprie nevrosi, e in questo bisogno tutti noi esprimiamo noi stessi” (James Dean).

Se da una parte è sempre complicato trasporre un'opera filmica sulle tavole del palcoscenico, dall'altra è ancora più arduo attuare questo slittamento se il regista cinematografico corrisponde al nome di Ingmar Bergman. Tante le componenti psicologiche, i sottotesti, i non detti, gli sguardi, i chiaroscuri, i silenzi per poter ricreare una fedele trasposizione. E, dopotutto, non hanno mai molto senso le pellicole che vengono ricreate, per il gusto di un pubblico feticista e conservatore e consuetudinario e per i desideri di registi pigri, su un palco, passaggi identici dalla celluloide a fondali e Biselli.jpgboccascena per ritrovare in maniera consolatoria il già visto, il già esperito. Affrontare e tratteggiare Bergman, con i suoi cumuli stratificati di macerie e analisi interiore e chili di inchiostro versati per sviscerarli e sezionare scene e inquadrature, potrebbe sembrare pericoloso, presuntuoso, sicuramente scivoloso, indubbiamente coraggioso. L'ultimo aggettivo è quello che più si avvicina alla natura del regista, e attore, Roberto Biselli che dal '95, con il suo Teatro di Sacco, gestisce lo spazio Sala Cutu (una sessantina di posti a sedere, una chicca) accanto alla chiesa di San Domenico e al chiostro del Museo Archeologico. Dopo essere entrati all'interno del grande cancello un giardino-isola ci accoglie, siamo protetti dentro questo piccolo borgo, queste mura antiche che ci ovattano dal caldo, dai rumori della città, un rione di pace. Siamo dentro una parentesi verde.

E Biselli, grazie anche all'apporto delle due attrici, Giulia Trippetta e Diletta Masetti (entrambe under 35 e umbre), ha operato scelte nette nell'affrontare “Persona”, film del '66, trasformandolo in “Persona_21”, non tanto rendendolo contemporaneo (quel 21 ce lo fa sentire vicino temporalmente) ma miscelando la pellicola in bianco e nero con inserti autobiografici provenienti dalla messa in gioco delle due professioniste in scena. 200293870_10226086435853248_8806356727677607675_n.jpgAl posto dell'infermiera Alma e dell'attrice Elisabeth, qui abbiamo Diletta Masetti che impersona un'attrice (che incidentalmente si chiama anch'essa Diletta) che dopo una recita dell'“Elettra” si è chiusa nel mutismo, e Giulia Trippetta l'infermiera (che si chiama Giulia) che le sta accanto in questi mesi di silenzio volontario. La griglia e lo scheletro e il telaio sono assolutamente quelli di “Persona” ma l'intento e l'intenzione è stato quello di creare uno scarto ulteriore, uno step successivo andando appunto all'interno del film (a 55 anni dalla sua uscita) e cercare legami, appartenenze, vicinanze, consonanze, parallelismi con l'oggi. Ripetiamo lavoro difficile e scelta coraggiosa.

La situazione ricreata è naturalistica, di tavoli, sedie e letto ma il lavoro di cesello e pulitura e tagli che stanno dietro è imponente e importante. Se però cerchiamo e ci soffermiamo sulla tesi che sta alla base dell'opera cinematografica sulla disputa tra il vero e il falso perdiamo l'ottica del tutto, il respiro velato che staziona sopra e dentro questo “Persona”. Il tema centrale appare essere lo scontro concettuale tra il maschile e il femminile dove quest'ultimo carattere è rappresentato dal trittico attrice, il lato artistico, infermiera, l'ascolto, la psichiatra (sempre la Masetti, doppio ruolo per lei), la competenza scientifica, la razionalità, mentre gli unici due uomini che vengono evocati (nella pellicola appaiono, qui a teatro soltanto enunciati ed evocati) sono il figlio abbandonato dell'attrice e il marito (nell'opera teatrale addirittura sostituito dalla scena dell'abito “trafugato”) della stessa che, quando sul finale andrà a trovare la moglie, si sbaglierà e bacerà e abbraccerà l'infermiera tanto è stato forte il transfert psicologico (e psicosomatico) attuato tra le due donne tra confessioni e scambi emotivi se non addirittura saffici. Uomini deboli in mezzo ad un mondo popolato soltanto di donne che non hanno più bisogno del maschio.

All'interno della sceneggiatura del regista svedese molto ingombrante era, a nostro avviso, anche il sub-argomento della gravidanza, Diletta Masetti.jpga cascata all'interno del “femminile”: l'attrice ha avuto una gravidanza indesiderata portata a compimento, l'infermiera invece ha abortito dopo essere rimasta incinta durante un'orgia tradendo il partner sterile. In questo “Persona_21” Biselli decide di omettere o non sottolineare questi particolari centrali per la comprensione del dramma. Sta di fatto che una materia tanto rovente è stata declinata con impeto robusto e corazza dalle due attrici: la Masetti, dentro la sua comfort zone artistica impostata (attrice altera e psichiatra compunta), si incastra alla perfezione con la Trippetta (vista sempre in ruoli brillanti) che qui riesce a tirar fuori la sua vis, il suo slancio drammatico creando una bella amalgama, un connubio felice tra due ruoli e due modalità interpretative che diventano funzionali ma non asettiche, ingranaggi di una meccanica ben oliata dove i sentimenti scivolano, si ungono di sensi di colpa, segreti, misteri. Due facce della stessa medaglia in questo dialogo (a ben vedere monologo), in questa resa dei conti fatta di dipendenza e allontanamenti dal “piacere crudele”, dove è la retorica a farla da padrone. “Persona_21” è un notturno grave di Trippetta.jpgChopin, è il ticchettio dei tasti di Satie, è la lentezza evocativa di Keith Jarrett. E' anche un lavoro sul senso dell'attore, sull'essere attore, sul senso della finzione, della recitazione, del non essere mai pienamente se stessi in questa società che ci vuole sempre dentro schemi preordinati e statici. E' una riflessione sul doppio e sulle nostre (benedette) contraddizioni che nell'età adulta vengono tarpate: “Cosa succede a tutte le cose che una persona voleva fare?”.

Ci ha convinto, creando uno scarto personale rispetto al film, l'incipit al tavolino mentre le due attrici, interpretando se stesse (ma tutta la piece è come se fosse una sorta di prova aperta, di teatro nel teatro), parlando appunto della pellicola, mentre ci sembra che non aggiunga nessuna ulteriore visione né suggestione il finale, quando le due attrici lasciano il “corpo” delle figure rappresentate tornando ad essere se stesse e intavolando una discussione animata che non ha la forza per rendersi credibile in questa uscita dalla finzione del teatro. In definitiva però non dobbiamo cercare verosimiglianze tra la bobina e il palcoscenico (tecnica da voyeur artistico pignolo che poco apporta alla discussione e al dialogo) ma solamente coglierne e respirane l'essenza, l'attualità della riflessione che ancora oggi, va in profondità, mira agli abissi dell'animo umano, scardina, pesca nel sottobosco torbido di tutto ciò che nascondiamo sotto il tappeto, sotto la pelle, tra le intercapedini del lecito e dell'accettato socialmente mentre in realtà siamo sfaccettati e mai un solo coerente corpo.

“La recitazione non è poi così importante nell'ordine generale delle cose. L'idraulica invece lo è” (Spencer Tracy).

“Non mi sono ritirata, semplicemente non accetto più ruoli” (Jamie Lee Curtis).

Tommaso Chimenti 16/06/2021

Libro della settimana

Facebook

Formazione

Sentieri dell'arte

Digital COM