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Passioni e angosce tra le mura di un labirinto al Teatro Lo Spazio

“La passione tinge dei propri colori tutto ciò che tocca”, diceva il filosofo Baltasar Gracian. E così ripetevano ieri sera gli attori della compagnia L'ombelicolo, che, tra le pieghe di un intricato percorso scenico, hanno debuttato con “Labirinto, percorso nelle passioni”.

Non aspettatevi il classico spettacolo spettatore-platea, perché Labirinto somiglia più una “casa degli spiriti” in cui al posto delle attrazioni troverete i personaggi, le loro angosce, le loro paure.

Un gruppo di spettatori viene lasciato libero di muoversi tra le “pareti” del labirinto alla ricerca di una storia che racconti la passione. Ogni attore recita a strettissimo contatto col suo spettatore e si “accende” appena anche solo una persona si affaccia sulla “soglia”, dovendo continuare anche se qualcuno va via. In un semi-buio, con un'acustica che ha rischiato qualche volta la sovrapposizione delle voci nel disarticolarsi del pubblico tra le varie scene, lo spettacolo sembra richiedere una prova d'attore non indifferente.

Il rischio per chi recita è la perdita di concentrazione e per chi guarda è di afferrare solo pezzi di monologo. Il vantaggio è la sensazione di verità che deriva da tutto questo, del resto le passioni sono così: slegate, illogiche, intense pur nella loro brevità. Ad ogni angolo di questo labirinto ce n'è una. C'è chi ha perduto il suo amato, ma non l'amore e ti mostra la sua fotografia, chi è alle prese con la fede e le sue mancate risposte, chi di notte ti entra in casa solo per “rubare un altro giorno della tua vita”. C'è il figlio abbandonato che tempera matite nervosamente, nella speranza che qualcuno gli scriva, c'è lo scrittore che si fa la barba pensando a quanto vorrebbe scrivere, ma non sa di cosa, poiché tutto è già stato scritto. C'è il cantante che, seduto a gambe incrociate tra i suoi mille post-it, alla fine non trova le parole.

Più a lato, proprio in fondo al labirinto, è seduta una donna che ha subito violenza, ma ha un sorriso che da solo la riporta in vita, un'immagine speculare di quell'altra, che ci si lascia alle spalle durante il percorso, che ridacchia, vomita e piange per essere diventata come la Barbie che stringe tra le mani. Alla fine saranno loro, insieme agli altri personaggi, a prendere il pubblico per mano e condurlo al centro della sala, in un mantra di citazioni vorticoso e avvolgente per chi ascolta: è la parte più corale dello spettacolo, probabilmente anche la migliore. Il pubblico applaude con sincera commozione.

Ottima l'idea del regista Frediano Properzi, non immediatamente compresibili alcune associazioni tra il monologo e la passione di riferimento: su tutte quelle per la violenza o per l'essere dominato. Ma forse ogni attitudine deve poter trovare cittadinanza nel teatro e nella vita poiché tanto, come dice Pasolini e come si conclude lo spettacolo, “La passione non ottiene mai il perdono”.

 

(Rosamaria Aquino) 

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