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Orizzonti Verticali: torri, danza e panorami ribaltati

SAN GIMIGNANO – San Gimignano val sempre una messa, un salto, un passaggio, una gita, un'affacciarsi. Le torri svettano alte, in basso soltanto turisti, macchine fotografiche, mille accenti del mondo diversi, gelati da leccare, scatti, pose, pantaloncini corti, magliette sudate, occhiali da sole. Piazza della Cisterna, Piazza Duomo, Piazza delle Erbe e la Rocca sono i quattro punti cardinali dove si esprime e si manifesta la danza e il teatro messo in piedi da Tuccio Guicciardini per il suo “Orizzonti Verticali”, titolo azzeccatissimo che rievoca l'altezza alla quale tendere ma anche quell'ossimoro tra l'appiattimento della linea dove finisce il sole e lo slanciarsi, metaforicamente, verso il cielo in un ribaltamento della forza di gravità, di cambio di punti di riferimento, di ribaltamento delle consuetudini. Italiani se ne vedono pochi; la sera cala il “coprifuoco”. Il turismo è mordi e fuggi. Negozi di souvenir, bar, b&b: è il futuro dell'intera penisola venduti al miglior offerente. Ma le pietre sono calde, sono abbaglianti, sono solari, i riflessi rimbalzano e accecano violenti e camminare per queste strade riappacifica, rasserena.

36675544_10209202989870208_1386470612003717120_n.jpgA San Gimignano poi si respira la grande arte internazionale grazie alla Galleria Continua che ci permette sempre di fare un grande tuffo salutare nell'arte contemporanea e di prendere a pieni polmoni riflessioni e sonorità che rinfrancano e aprono mondi e finestre. Ecco la grande installazione di Daniel Buren e Anish Kapoor con gigantesche reti metalliche a riempire tutta la sala, reti a dividere, reti come voliere (gli uccelli in gabbia siamo noi), reti che dialogano con le colonne celesti, reti che frammentano la vista, la visuale e l'orizzonte, reti geometriche che sezionano lo spazio, reti frastagliate e lineari che creano ambiti e triangoli, angoli e spicchi, reti che tagliano e insieme moltiplicano.

36637587_10209203969814706_1028623729426432000_n.jpgSul fronte artistico abbiamo avuto l'occasione di seguire la performance “Uccidiamo il chiaro di luna” (manifesto futurista centenario marinettiano) di Silvana Barbarini, tutto da scandagliare, da analizzare, da approfondire, futurista e pop, energico e fresco, di rottura quanto piacevole rivolo di novità. Questo “Uccidiamo” (per la prima volta realizzato all'esterno), si inserisce nel Progetto RIC.CI, ideato da Marinella Guatterini, ovvero la ricostruzione di coreografie contemporanee degli anni '80-'90. L'idea della Barbarini arriva direttamente dagli studi e dal manifesto sulla danza di Filippo Tommaso Marinetti. E' un recupero della memoria, una possibilità per la platea, un nuovo ascolto, una nuova linfa che arriva dal passato ma con un'atmosfera tutt'altro che sorpassata, nient'affatto stantia né polverosa. Qui, sono undici gli interpreti rigorosamente in nero che si accavallano, scapicollano, corrono, scalpitano nelle tre piazze cittadine, la parola si fonda con il gesto, con il passo, la voce diventa urlo, grido di battaglia, quasi slogan pubblicitario, ordine, verbo all'infinito, invocazione, esortazione forzata carica di spirito guerreggiante e animo tracotante.

E' una coreografia onomatopeica che unisce suoni animaleschi e gutturali o giocosi fogli di carta che dal leggio volano come petali caduchi o foglie secche d'autunno. I toni si alzano a sottolineare la potenza necessaria che36714976_10209203976934884_2284681069691142144_n.jpg accompagni il movimento quasi a caricarsi, a prendere velocità e rincorsa: ecco i belati delle pecore, le campane, i colpi e i rumori a scandire vocalità, mitragliatrici e spari, corpi che cadono o sbattono decisi i piedi a terra. E' un inserimento urbano che spiazza dove il metallo e il progresso, il fulmine e l'avanguardia, il lampo e il futuro, vengono idealmente fatti convivere ed esaltati nella velocità d'esecuzione di questi corpi giovani che rompono gli schemi scarmigliati e scapigliati. Le parole-chiave sono urlate come un mantra, come tamburi di guerra altisonanti: vortice, spirale, vento, il tutto con impeto furioso, eccentrico, esondante, pieno, colorato, straripante, traboccante, debordante, in qualche modo protettivo, sicuro, tutt'altro che gelido.

36756876_10209203989695203_4331544504508088320_n.jpgC'è un'energia di sottofondo che sorprende e attanaglia, che sprizza, che fuoriesce, una musica enfatica a ribadire una ginnastica di muscoli e scatti e salti e fuochi d'artificio e km all'ora lanciati nello spazio. Ecco la sirena avvolta nell'argento, che ricorda le nuotatrici delle Olimpiadi berlinesi del '36, liscia e luccicante, silfide sinuosa che si muove al ritmo di lastre di ferro battute e vibranti. Quelle scagliate sembrano “parole in libertà” ma creano un'armonia, un andamento, un continuum, una consecutio a valanga, in discesa che accelera, che trasporta, che tracima, travolge e ispira, una declamazione muscolare che sostiene mani e piedi, rinvigorisce il pensiero, aumenta l'idea, provoca, stuzzica. Si sente presente la macchina e la meccanica, l'alluminio e il metallo che balzano, che friggono alchemici tra la carne e l'evoluzione. Tutto è plastico, fluente e spigoloso allo stesso tempo, dinamico fremente e sembra di averle sotto i denti le aeropoesie di Marinetti (la cui voce originale è viva nel finale in audio: brividi ardimentosi e fieri) o le aerodanze di Giannina Censi, quell'audacia, quella freschezza, quella voglia di cambiamento, quel colpo di spugna che oggi, più che mai, invochiamo da tempo. In tutti i settori.

Tommaso Chimenti 06/07/2018

Foto: Tommaso Chimenti