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Il programma ristretto di Orizzonti Verticali, un concentrato senza fil rouge

SAN GIMIGNANO – E' difficile, se non complicato, trovare un fil rouge, un appiglio per raccontare, argomentare, spiegare, parlare di “Orizzonti Verticali” 2020. Certo, c'è stato il Covid che ha annullato molte manifestazioni e molte altre hanno avuto un cartellone ridotto (come questa di San Gimignano passata dai cinque giorni delle passate edizioni ai tre odierni che in realtà erano due visto che il giorno inaugurale si ripeteva l'indomani) ma talune rassegne (vedi “Kilowatt” a Sansepolcro, sempre di santi si tratta) hanno addirittura rafforzato se non aumentato la proposta. Quindi, era possibile, era fattibile. Yes, we can. OV, diretto da Tuccio Guicciardini, anche presidente di Fabbrica Europa, e Patrizia De Bari, ha il merito di svilupparsi, da otto edizioni, sul palcoscenico naturale della cittadina senese nota per le sue innumerevoli torri, quelle rimaste in piedi perché in antichità erano molte di più. Qui, tra le pietre che sembrano sempre assolate e ingiallite, dorate e calde, si aprono piazze, come Piazza Duomo, o piazzette, come quella delle Erbe con le due torri gemelle a guardia imperiose e cupe a scrutarle da sotto che mettono le vertigini, rovine come la Rocca di Montestaffoli, dove il vento spira e spazza, cortili, come Piazza Pecori di mattoni accoglienti.Patrizia De Bari.jpg

I tanti turisti che affollano la città, nel classico tour toscano, vedono di sfuggita, si fermano il tempo di un gelato, passano e tirano dritto, si soffermano per una foto svogliata, nel mordi e fuggi che è diventato questo andare, scattare e postare senza tregua. Ma il festival, quest'anno, ha offerto veramente pochi spunti, poca spinta e poca linfa. Ma, mi si dirà, era bene comunque ripartire o non far cadere un anno nel dimenticatoio, non farci sopraffare dalla pandemia, reagire con l'arte e con la cultura. Possiamo essere in qualche modo d'accordo. I festival sono anche un modo per compattare le comunità anche se quella di San Gimignano non sembra così legata a quest'esperienza artistica e sembra più sopportarla che supportarla. E' un in più che poco aggiunge alla proposta di visita di un giorno a ciabattare tra i vicoli, scegliendo l'uovo d'alabastro, i Pinocchi in legno (chissà perché qui?), i mortai in marmo per fare il pesto, e poi tutta la gamma di prodotti alimentari, dal pecorino ai pici, dal cinghiale ai salumi. San Gimignano è una chicca incastonata nel tempo ormai dedita, almeno all'interno delle mura, al commercio al dettaglio, al turismo, la gelateria, il bar, il ristorante, il bed and breakfast, che l'hanno fatta diventare un grande abbuffamentificio. Si salva da questo enorme e intenso Bianchisentieri (5) LH.jpgmangia mangia (e non magna-magna, attenzione) di code di turisti che sgranocchiano sempre incessantemente qualcosa, la Galleria Continua, spazio d'arte contemporanea che ogni anno ci risolleva morale e spirito con le sue ampie installazioni che fanno respirare la mente, ci aprono le finestre dell'ipotalamo. Forse OV dovrebbe intensificare i rapporti con il museo (sempre gratuito) e creare sinergie, performance che possano legare i due concept, le due idee. Ma questo è un altro discorso.

Appena digitiamo sul web Orizzonti Verticali, bellissimo ed enfatico nome che racchiude lo sviluppo verso il cielo, l'ambizione a toccare le nuvole, lo slancio verso il divino, quasi Torre di Babele, rispetto all'ampliamento sul suolo, il primo risultato che appare è un sito di arrampicate e attrezzature per la montagna. Sul programma di quest'anno poche parole, pochi appunti sparsi e flosci sul taccuino, fatto di flash, parole chiave sbiadite su piccole performance, una presentazione di un libro, momenti, morsi di quello che avrebbe potuto essere. Soprattutto danza contemporanea, un'installazione partecipata vagamente confusa, una lettura spacciata per teatro (un leggio non fa primavera), un'interessante esperienza condivisa, quasi un memoriale, quasi una veglia funebre, un ricordo collettivo, una restituzione di vari artisti di un pezzo della loro, giovane o millenaria, esperienza di palcoscenico, con una decina di artisti (amici sodali della direzione) che leggevano o recitavano qualcosa legato al proprio passato sulla scena. Il festival non c'era come un arcipelago fatto da tante isole non comunicanti tra di loro.

Ma lo spirito di fondo, mi si dirà, era un altro: ricominciare come avrebbe detto Adriano Pappalardo. Bene, ma non benissimo. Ed allora concentriamoci sulle due parentesi che, in qualche modo, ci hanno tenuti lì ad osservare o ad ascoltare, non certo inchiodati alle sedie ma comunque con un buon grado di partecipazione se non emotiva almeno intellettuale. Leggera, quasi fosse planata da un altro pianeta, la performance, onirica e sensuale, certamente sinuosa, “Bianchisentieri” (a cura di Giardino Chiuso, la compagnia che organizza la kermesse) che si sommava ed incastrava Bianchisentieri (2) LH.jpgsull'esperienza partecipativa “Sentieri di carta”. Cominciamo dalla seconda: un palco davanti al duomo, che pareva un ring con tanto di corde, dove poter attaccare con la colla pagine di libri precedentemente strappate e, se si voleva, firmarle. Idea aperta a chi volesse dare il proprio contributo scrivendo qualcosa su questi fogli già carichi d'importanti inchiostri. Pagine che, una volta concluso il festival, saranno ritagliate, incorniciate e messe all'asta. +Chi comprerà pagine autografate da semplici sconosciuti? Ha dato il suo contributo anche il cantante Alberto Fortis, uno dei pochi nomi spendibili e di qualche rilievo. Su questi “Sentieri di carta” si è incastonato “Bianchisentieri” con la danzatrice Camilla Diana fluttuante con la sua gonna di fogli arrotolati, in movimenti dolci, vestita di carta, sotto i piedi carta in un universo di carta, fragile e tenero. La carta che viene dagli alberi nel nostro mondo dove a leggere sono sempre meno persone.

Infine l'eventovirginio-gazzolo.jpg conclusivo “Sto felicemente dimenticando tutto” (espressione presa in prestito da Sebastiano Vassalli), che ribadiamo somigliava ad un congedo, ad un saluto finale senza che questa sensazione togliesse niente all'impatto totale, poco coerente ma con punte alte di personalità e attorialità, carrellata di artisti con le spalle alle pietre in una lingua di luce che sembrava il Muro del Pianto di Gerusalemme, sciorinando pezzi e parti, poesie e stralci in una sorta di “cavallo di battaglia”. Da sottolineare Giancarlo Cauteruccio con il suo “Mi fa fame”, lo splendido e strepitoso Virginio Gazzolo, oltre ottanta candeline di energia purissima e immensa presenza sul palco padroneggiandolo, Carla Tatò con la sua recitazione sincopata e stoppata, particolare, originale e personale, i versi contemporanei di rottura di Giulia Martini. In un tempo che dimentica tutto e tutto scorda, felicemente o meno, dove alcune delle malattie più urgenti e annientanti sono l'alzheimer e la demenza senile, “dimenticare” non è mai una buona soluzione, un'opzione accettabile: “Perdona i nemici ma non dimenticare mai il loro nome” diceva John Fitzgerald Kennedy, per quanto questo possa valere. Ricordare invece deriva da riportare al cuore. Preferisco, preferiamolo.

Tommaso Chimenti