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Gli Oracoli di Garzella: corpi di fango e materia celeste

COLTANO – Metti un Armistizio che alle nostre latitudini stiamo ancora aspettando in maniera completa, metti la sopraggiunta e improvvisa morte della Regina Pop per eccellenza, metti un'inflazione galoppante e i tassi d'interesse europei aumentati, metti una campagna elettorale estiva acida e rancorosa in atto, metti una guerra evitabile e al tempo stesso banale e preventivabile ed ecco, nel flusso inconscio, concatenarsi questa colata di “Oracoli”, caravanserraglio-presepe e metafora viaggiante dove camminare, correre, perdersi cercando la luce, annusando i bagliori, profumando 18402255_1362717083848624_6869483940300976407_o.jpgle epifanie di lampi in questa notte pesta dell'Umanità. Alessandro Garzella (autore e regista) e i suoi Animali Celesti abitano, smuovono e spostano e fanno loro lo spazio di legno e stalle, di fieno e Far West, di staccionate e zoccoli nella Pineta di Coltano (dalle parti di Pisa) dove sopra passano aerei rancidi con le loro ali molli e il becco a punta verso destinazioni sconosciute nei loro gridi di kerosene e carburanti pompati sulle nuvole innocenti. Qui si recuperano cavalli e asini che hanno subito maltrattamenti, abusati, vilipesi, torturati, bestie bellissime e vederle nel chiaroscuro della notte, mentre la performance rumorosa continua il proprio giro e compie il proprio gioco e giogo, ha un sapore di favola riuscita, di capolavoro risolto, di chiusura del cerchio, la Natura che ha preso nuovamente per mano l'Uomo e insieme hanno portato a compimento l'avventura della salvezza. In questo bosco pare che Pinocchio si mischi a Moby Dick e l'Utopia di Don Chisciotte si possa finalmente toccare, mordere, lisciare. C'è il sogno ma anche la tangibilità delle pozzanghere, l'alta sfera della poesia sparsa, tra capezzoli al vento ORACOLI IN VERSI.jpge una band malinconica sospesa tra matrimoni e funerali, questi pini marittimi che illuminati prendono forme e sembianze, diventano alti giganti e i loro rami braccia e le loro chiome teste di Jimi Hendrix che puntano a leccare queste nubi grigio scure gonfie e cariche ma calde, scenografiche, fondali pannosi spessi ovattati come cuscini di un Alice nel Paese delle Meraviglie scomposto, scoordinato, disunito.

Wunderkammer come ogni passaggio e step e passo dentro questa avventura (della durata di due ore), un vagabondare andante di anime dantesche con candele in mano ad incontrare strumenti stonati e spaventapasseri inquietanti, ma soprattutto ombre a disegnare un terreno che perde contorni e si sfalda, si sfarina, si appropria di altri sensi e significati, si trascina, tracima, si amplia, si sgranchisce, si snocciola. Un asino raglia, un cane abbaia lontano: è la vita che ci riporta con i piedi per terra e ci fa sentire piccoli e inutili in mezzo a questo grande deserto che stiamo attraversando fatto di vicoli e radure, di strade strette tra i rovi per poi aprirsi nel grande circo di corse sudate e manichini antropoformi, di statue e sculture cesellate dalla fiochezza della Luna nascosta nel tambureggiante della nebbia che distorce, nasconde, cela. Il cammino è un andare incontro alle proprie paure e sentimenti, andare in faccia, a specchio, a verità elargite da un guru sotto ad un albero, un Maestro che sembra fuso con i suoi arti tra le radici di questo antico fusto sopra il quale scimmiescamente si aggrovigliano e salgono, 1.oracoli.jpgs'arrampicano e s'accapigliano anime come liane, personaggi letterari tra sibille e ballerine, misteri animaleschi al ritmo di trombettisti e fanfare. Gli oracoli declinano ed elencano i Miracoli, possibili, eventuali, potenziali, pirotecnici, futuribili, di Vita, Morte e Dio a miscelarsi, creare amalgama, una pasta solida inscindibile. Questo “Oracoli” è un play teatrale che prende forza grazie al pubblico che si lascia guidare, si lascia condurre in questo spazio magico, fuori dal tempo, una sospensione fortunata, una parentesi tutta da cogliere e respirare.

E' un continuo colorato portarsi via carnasciale, di corpi infusi d'eros, di canti tra il proibito e la preghiera e nel naso l'odore dell'erba bagnata, il profumo dell'umido della notte di fine estate e quella patina di rugiada che imperversa, attinge e fa cappa alle suole delle scarpe come al respiro confuso da tanto nuovo vergine ossigeno. Bisogna lasciare andare gli occhi senza soffermarsi sugli incroci e sugli incastri, sul fluire dei passaggi, sulle trame e le frontiere, accogliere i sensi senza doversi spiegare versi e concatenazioni talmente è l'ammasso e il flusso di coscienza che esonda felice nelle performance (dieci musicisti e una ventina di performer tra i quali spiccano Ilaria Bellucci, Satyamo Hernandez, Sara Capanna, Chiara Pistoia, Carlo Gambaro, 2.oracoli.jpgFrancesca Mainetti) che diventano atto in una sovrabbondanza, caustica e ricca, di parole, mo(vi)menti, tentativi. Ti puoi soffermare su una sorta di sposa-Marilyn, ti puoi far catturare e affascinare dalle campane della Chiesa che rintoccano e ti svegliano dal torpore, puoi rimanere invischiato nel riflettere se, come dice la domanda in loop, nella tua vita “sei vittima o boia”. La comunicazione è aperta, i sensi dosano la loro forza cercando anche i dettagli inesistenti in una piena condivisione tra attori e pubblico e Luogo e Natura. Le parole non sono compartimenti stagni (né patimenti) ma hanno facce e volti e sostanza e riesci a vederle tridimensionali, ora Angeli, adesso Demoni, ora carezze, adesso bestemmie. Siamo innocenti e siamo allo stesso tempo anche Orchi che cercano il loro posto nel mondo, la strada per raggiungersi, per ricongiungersi.

“Oracoli” non può che essere un grande rito collettivo d'iniziazione, grandemente architettato, supportato, gestito, dove vengono snocciolati i Miracoli (dopotutto siamo vicini a Pisa e al suo Campo dei Miracoli) che, negli interstizi tra Cielo e Terra, tra le pieghe della Realtà, tra le righe del mondo e dei suoi abitanti, capitano, occorrono, si palesano, si manifestano oppure solamente avrebbero potuto e invece non sono stati capaci di materializzarsi. Le luci che si innalzano da terra in questo bosco sembrano esplosioni cosmiche, aurore boreali verdi e blu in cerca di un abbraccio accogliente e incandescente. “Cogli l'attimo” ci grida un urlo evergreen che ridesta le nostre priorità tra i rumori accordati e armoniosi di una sega suonata con l'archetto, in questi spiazzi di polvere che sanno di sale e Apocalisse, di Luna piena e di Luna Park, di balle di fieno e di balle di fiele. Immersi in questa festa-concerto gitano non possiamo far altro che seguire la corrente come salmoni, attratti dalla luce, dallo sbocco sul fondo, rincorriamo la triste euforia, la ricerca della grazia, della gabbia come della malinconia, la liberazione, la santità e la pazzia, la cura e la malattia, l'inizio e la fine. Siamo le carte degli Oracoli, siamo gli Ultimi da salvare. Meno male che ci sono ancora gli Animali Celesti, anime della Volta Celeste, spazio di manovra, pensiero libero.

Tommaso Chimenti 10/09/2022

Fotografie di Michele Lischi

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