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L'Inferno senza gravità si specchia divenendo celestiale

ROMA – Dei corpi bianchi sembrano grattare il cielo nero. Saltano come rospi, volano come libellule, zigzagano nell'aria come mosche. E' un lavoro di luce e di buio questo “Inferno” della compagnia No Gravity, di candido che si staglia nella pece, che riesce ad esaltarsi grazie a questo fosco ammantato luttuoso fondale. E' un incontro e un incrocio, una battaglia siderale nell'infinito, un ying e yang che si rincorrono e spariscono l'uno nell'altro. E bisogna perdersi dentro le pieghe di questo candore che sfarfalla sfidando le leggi della fisica, ora demoni, adesso fiammelle d'anime in pena, in fuga, attaccate a questa carta moschicida che li inchioda al soffitto, ad una sorta di volta celeste che comunque li inghiotte e ingloba, li tiene bloccati in una ideale bolla, come la neve dentro le palle di vetro da miscelare, come paguri dentro conchiglie. Fluttuano e nuotano nell'aria, si muovono tra suoni gutturali e archetipici, tra sinuosità di onde, flessuosi si librano come pulviscolo salgono e scendono impalpabili, senza peso.58c1de8627b2b2b2963d5025d8d72e6e_XL.jpg

Quella dei sei protagonisti in scena dei No Gravity, diretti dal regista Emiliano Pellisari, è una armoniosa e perfetta danza acrobatica (prima danzatrice Mariana P) che li avvicina a fenomeni mondiali come i Momix o il Cirque du Soleil. Ma c'è di più: non soltanto di forma vive la retina dell'occhio umano. Qui, nelle loro creazioni, c'è un particolare molto forte, fondamentale che tutto cambia e ribalta la visione, un semplice particolare che esalta e fa esplodere di senso le coreografie, i movimenti, i gesti dei sei, moltiplicandoli, anzi duplicandoli. Un escamotage elementare che diventa cardine esponenziale: un gigantesco specchio inclinato che guarda il palco e con il quale ha una continua relazione, un dialogo costante. I danzatori fanno le loro evoluzioni a terra che rimbalzano in questo specchio portandoci dentro un altro universo dove questi corpi mirabili saltano fluidi, zompano leggeri come il primo uomo sulla Luna. Sono angeli perdenti dai corpi caravaggeschi che hanno sconfitto le regole arton21377.jpgdi noi comuni mortali in questi quadri che, grazie ai cambi musicali che denotano e scandiscono i vari affreschi e le diverse scene che si susseguono, ci portano dentro un Inferno dantesco sensoriale, immaginifico, suggestivo, post-industriale, bellissimo e feroce al tempo stesso. Sono piccoli satanassi che con la loro luccicanza-shining di fuoco amplificano i respiri d'amplessi, sospesi come astronauti dentro navicelle, si sbattono come maree in cerca di un approdo, camminano nel vuoto alla ricerca non solo di un'estetica ma anche di una via di fuga da questo mondo-Sistema che li ingabbia, li chiude, li cinge, li imprigiona.

Tornando alla doppia visione divina-commedia-no-gravità.pngdi ciò che succede sul palcoscenico, l'occhio dello spettatore si può dividere, asimmetrico, su quello che agisce a terra oppure sulle forme ed evoluzioni create (ingannando la percezione di altezze e, appunto, di gravità) in questo spazio che vive dentro il sogno dello specchio in un parallelismo fatto di riverberi e riflessi che rimandano un doppio della realtà e al tempo stesso ne ribaltano il senso proprio perché scombussola le nostre certezze di uomini finiti. E poi c'è incanto e sorpresa, muscolarità ed eleganza, forza in una sinfonia contagiosa empatica: adesso sembrano lottatori e discoboli greci, ora le figure disegnate sui vasi etruschi, adesso sono scimmieschi o pinocchieschi o ancora spingendo a terra i gomiti come marines, ora sembrano aztechi durante un sacrificio sanguinario, adesso sono affreschi egizi di profilo ora trapezisti circensi che hanno vinto l'idrogeno così come hanno surclassato la caduta gracchiante, eclissandola, sublimandola.

Il loro Inferno-di-Emiliano-Pellisari-5.jpgstato naturale non è più materico ma è divenuto gassoso, evanescente, etereo destreggiandosi in un rito sciamanico propiziatorio sensuale e prodigioso e inquietante dove c'è dolore e sofferenza e impossibilità per queste anime, pesci che boccheggiano dentro la loro boccia, che brulicano il vuoto in questo aggrapparsi perenne per non scivolare nell'oblio, arrampicandosi, toccandosi, aggrovigliandosi, roteando, ruzzolando impantanati in questa dimensione di Terra di Mezzo, rannicchiandosi in agglomerati di carne tremula concentrata in cerca di un calore gracile e flebile. Bisogna lasciarsi andare, farselo scorrere addosso, lasciarsi trasportare e abbandonare, respirare e digerire, quest'“Inferno” che scalda, che “è un palazzo che brucia in città, che è una lama sottile, una scena al rallentatore, una bomba all'hotel, una finta sul ring, che è una fiamma che esplode nel cielo, che è un gelato al veleno”.

Tommaso Chimenti 19/03/2022

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