FIRENZE – “Le donne sono fatte per essere amate, non per essere comprese” (Oscar Wilde).
Il bagno è il luogo principe delle confessioni, c'è lo scrosciare familiare dell'acqua, c'è il frizzante delle bollicine della vasca, c'è il soffice del cotone, c'è il calore del phon, c'è la morbidezza della spugna, c'è l'intimità del nudo. E ci siamo noi, svestiti, spogliati da ogni armatura, da ogni ruolo, struccati, finalmente veri, noi, i nostri pensieri e un momento per prenderci cura di noi stessi, della nostra pelle carezzandola, lisciandola, amandoci un po'.
Il bagno è grotta, il bagno è antro della sibilla, il bagno è porto sicuro, il bagno è mamma che ci asciuga da piccoli, il bagno è una parentesi di tempo privato sottratto alla nostra versione pubblica, il bagno è la sfera personale dove non esiste pudore, dove possiamo tirare fuori il nostro vero io, quello che non ha timore dei propri difetti o inestetismi. In bagno non ci sono occhi indiscreti, in bagno nessuno ci giudica, il bagno è la stanza più piccola della casa ma la più affollata, desiderata, ricercata. Il bagno è quel claustrofobico che ci scalda, è soddisfazione dei bisogni primari, il bagno è pulizia e rituale, è l'anticamera dove ci prepariamo ogni mattina prima di affrontare il mondo-giungla, è la chiusura a cerniera ogni sera salutando un altro giorno vissuto o solamente andato e ormai trascorso. Il bagno (ottima l'idea di aprire con “Creep” dei Radiohead, anche se con una versione melensa e mielosa che ha privato dell'anima la canzone di Thom Yorke, la cui traduzione è “sgradevole”) ci vede per quello che siamo e ci accetta e ci rispetta.
Se “Il Bagno” (scritto dall'attrice francese Astrid Veillon e passato prima per l'adattamento spagnolo e infine arrivato alle nostre latitudini) solitamente è sinonimo di solitudine e di momenti d'intimità, in questo particolare messo in scena, bianco candido e immacolato, c'è un via vai continuo come in una plaza de toros, la porta si apre come in un saloon, in un andirivieni da mal di testa. Tutto si svolge qua dentro, mentre fuori infuria una festa a sorpresa, preambolo, escamotage, preludio, premessa che sembra non interessare a nessuna delle cinque chiuse nei loro conciliaboli, battibecchi, scontri dialettici e strette tra bidet e lavandino, tra vasca e water.
Cinque donne diversissime ma ugualmente deluse e sconfitte, ognuna con le proprie insoddisfazioni, aspettative scadute e amori andati a male. Tre amiche più una madre e una figlia e tutto il ventaglio dei cliché femminili: c'è la vamp fatalona, che infatti è in pelle e latex attillato, c'è la santa che si innamora del marito dell'amica ma non consuma il suo desiderio, e infatti è in rosa candido, c'è quella sopra le righe un po' avvinazzata e di mezza età (Amanda Sandrelli, la migliore in scena, il suo personaggio regge in piedi da sola tutta la fragile costruzione), e giustamente è vestita a fiori, c'è una madre egoista, adesso anziana (Stefania Sandrelli, il pubblico la ama) che ha preferito vivere la sua vita da donna single, capelli e scialle rosso fuoco, invece che invecchiare appresso alla figlia che compie quarant'anni, difatti luttuosa vestita in nero, che sta con un uomo ma è rimasta incinta di un ventenne danese.
Insomma ne esce fuori un ritratto composito delle donne di oggi per niente incoraggiante e rassicurante anzi banalizzante: isteriche, urlanti, problematiche, arpie, pettegole, acide, sole, lamentose, troppo legate agli umori degli uomini, nervose, bugiarde, inadeguate, volubili, conflittuali, ma soprattutto insicure. Molto unghie affilate e poco smalto lucido. Per dare un po' di brio poi ci sono state aggiunte e spruzzate da sit com che hanno, se possibile come se non bastasse, contribuito ad aumentare il caos in questo bagno: cocaina, un ministro (per giunta mafioso e siciliano, stereotipo all'ennesima potenza), la corruzione (questi tre parametri insieme ci fanno venire in mente “Jhonny Stecchino”), polizia, paparazzi, furti. Tanti scricchiolii, vuoti, pause.
Se l'intento era una costruzione alla Cristina Comencini, il testo manca di umanità e troppo si lascia facilmente andare alla risata scadente di pancia, se era quello di creare un'impalcatura alla Yasmina Reza la drammaturgia ha un deficit di profondità, di spessore sociale, di solidità.
“Il mondo sarebbe sarebbe un posto di merda senza le donne. La donna è poesia. La donna è amore. La donna è vita. Ringraziale, coglione!” (Charles Bukowski).
Tommaso Chimenti 31/10/2016