NAPOLI – Un fondale che si espande a metà tra il Bosco Verticale milanese, con vie di fuga che saettano in alto, e il Calendario dell'Avvento, con le sue finestrelle tridimensionali, quasi squarci di Lucio Fontana nella tela a prendere luce e respiro, e le sorprese che si affacciano e si affollano di presenze, questo particolarissimo fedelissimo eduardiano “Natale in Casa Cupiello” cum figuris (per la regia di Lello Serao che si è messo in gioco, sperimentando un nuovo linguaggio) è forgiato tra luci e ombre, da apparizioni caustiche ed epifanie carsiche in una continua meraviglia che abbaglia pur nella penombra (le luci catartiche sono di Luigi Biondi e Giuseppe Di Lorenzo), che si infittisce di mistero, dove il testo si nasconde nelle pieghe dei movimenti dei burattini. Tre atti, con conseguenti cambi di scena, per questa perla (prod. Teatri Associati di Napoli, Interno 5) che rifulge di luce propria e riesce a rimettere in circolo, come sangue che pompa nelle vene, il dramma di De Filippo donandogli una veste nuova e suggestiva, curiosa e allettante. E' un presepe (proprio il termine che più ritorna come mantra) perpendicolare e gigantesco (praticamente una seduta spiritica) che ci mostra tutta l'artigianalità del teatro, le sue assi, i suoi riflessi lignei, le sue carrucole, la sua delicatezza d'ingranaggio, questa manualità infantile di stelle appese e comete apposte, di angelo volante e asinello appoggiato. Sarà il “caso teatrale” di questa stagione, ne siamo certi, per intelligenza e tecnica.
Si sente un ribollire di tensione emotiva e magma tattile (il Teatro Bellini ha fatto bene ad impostare una lunga tenitura, tre settimane, per questo piccolo capolavoro che verrà ricordato e che tutti gli amanti del teatro dovrebbero avere la possibilità, e la fortuna, di poter vedere) che tutto trasforma in questa sorta di laboratorio di falegnameria. E il parallelo nasce spontaneo con Geppetto (Lucariello) e Pinocchio (Tommasiello) tra trucioli, marionette e ciocchi di legno da intagliare, perfezionare, limare per questo grande presepe che è l'esistenza. E, se vogliamo forzare l'assonanza con Collodi, qui possiamo vedere, al contrario, come dalla carne, il capofamiglia Luca si faccia di legno perdendo la sua fisionomia terrena e trasfigurandosi in una delle sue statuette tanto amate. Lucariello è un enorme Luca Saccoia davvero toccato dalla grazia del palcoscenico che, generosissimo e sempre in movimento, dà voce ai vari personaggi che si affacciano governati dai neri movimentat(t)tori (tre ragazzi, provenienti da un laboratorio di Scampia, e tre ragazze), cambiando il tono e l'inflessione. Se nel primo atto (le scene sono di Tiziano Fario) è appunto l'attore napoletano a prestare le corde vocali agli altri ruoli, nel secondo, attorno a questa tavola bassa da fiaba, trova il dialogo proprio con i manovratori per infine, nel terzo, scindersi dal suo personaggio e a specchio e farsi doppio, come l'anima che lascia il corpo, e aggirarsi attorno a quel defunto impersonando i personaggi-satelliti che gli hanno ruotato intorno fin dall'inizio senza capirne l'importanza, dandolo per scontato, non considerandolo abbastanza, certamente non amandolo.
E' sia una guerra generazionale NCC (ancora attualissima e contemporanea) tra un padre che non riesce a passare al figlio le proprie passioni né le regole di vita e di comportamento e soccombe davanti alla prole scapestrata (appunto pinocchiesca) che non riconosce la sua autorità e che di lui si fa beffe snobbandolo, deridendolo; mentre il padre vorrebbe soltanto un po' di vicinanza e solidarietà, chiede amore e domanda insistentemente di essere stimato attraverso la costruzione del presepe, e vorrebbe soltanto far vedere quanto vale ma per i suoi congiunti non conta né merita niente, e da parte del suo ragazzo riceve soltanto rifiuti e anzi pesanti negazioni e contrasti che lo fanno sentire inutile, vecchio, sorpassato, incompreso quando avrebbe voluto solamente essere capito e accolto e ascoltato, abbracciato e non allontanato con una freddezza tagliente che incassa anche se gli fa malissimo. Il presepe è il suo recinto e cortile, il suo hobby e fiore all'occhiello, il suo orgoglio (la cosa che gli è riuscita meglio) e la sua fuga dalla realtà, un posto dove tutti i pezzi vanno al loro posto e dove ogni staticità è fissa e decisa dal suo deus ex machina, dove i punti di riferimento sono comprensibili e standardizzati, dove ogni mossa è controllabile non come la sua vita (dileggiata, per gli altri componenti della famiglia è irrimediabilmente un perdente) sempre tra l'incudine e il martello di un figlio scansafatiche, di una moglie perennemente in contrasto e insoddisfatta, di un fratello brontolone, di una figlia frustrata. La felicità non abita in casa Cupiello che già nella sua radice contiene il cupo, il fioco, il fosco, il livido, il buio. Se qualcuno nel corso della vita vi chiederà più volte con perseveranza “Te piace o' presepe?” (in definitiva è una richiesta d'amore; qualunque oggetto ci sia al posto della capannuccia e dei re Magi) forse ci tiene così tanto che aspetta soltanto un cenno per sentirsi finalmente accettato per quello che è invece che per quello che avrebbe potuto o dovuto essere. “Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre”.
Tommaso Chimenti 21/12/2022
Foto: Anna Camerlingo