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Napoli Teatro Festival, Riccardo II ed Enrico IV: l’inizio di una serie shakespeariana al teatro Galleria Toledo

Per gli spettatori dell’epoca elisabettiana che affollavano il Globe Theatre, il Rose o il Curtain ciò che contava nella rappresentazione teatrale – e nei drammi storici in particolare – era la riuscita della messinscena e la forza con cui gli attori riuscivano a rendere i personaggi, indipendentemente da rivisitazioni più o meno fantasiose che Shakespeare e i drammaturghi elisabettiani talvolta operavano. Questa necessità è viva ancora oggi che gli eventi della storia inglese narrati dal Bardo sono secoli alle spalle degli spettatori: ciò che conta ritrovarvi, dunque, è quella esplorazione di tutte le pieghe dell’animo umano, quella capacità di Shakespeare – e di Dante prima di lui – di analizzare e raccontare i vizi e le virtù degli uomini, ovvero di indagare quello che il poeta fiorentino aveva definito «il gran mare dell’essere» nel primo canto del ParadisoRiccardo II 1


La precisazione appare necessaria alla luce del progetto “Who is the king” di Lino Musella, Andrea Baracco e Paolo Mazzarelli, in anteprima per due serate al Teatro Galleria Toledo nell’ambito del Napoli Teatro Festival, poi al Teatro Franco Parenti di Milano dal 9 ottobre. Il progetto prevede quattro spettacoli che mettano in scena gli otto drammi storici di Shakespeare nel corso di due triennalità, facendo dei primi due episodi l’inizio di un lungo viaggio nelle histories shakespeariane. L’idea di Musella e Mazzarelli – responsabili di regia e drammaturgia, oltre ad essere in scena – nasce dalla considerazione che gli otto drammi storici – esclusi il Re Giovanni e l’Enrico VIII che aprono e chiudono il ciclo – formano un racconto in serie della storia d’Inghilterra dal 1370 al 1490, una vera e propria saga del potere e della smisurata ambizione umana. Shakespeare, insomma, aveva anticipato quel meccanismo oggi esplorato in tutte le sue forme dalla serialità televisiva: il pubblico veniva accompagnato episodio dopo episodio alla scoperta delle grandi storie. I personaggi vengono seguiti nella loro parabola – quasi sempre – discendente: l’acquisizione del potere, la corruzione che questo genera in chi lo detiene, le lotte per mantenerlo fino al passaggio di testimone al protagonista successivo. E così, Enrico IV, il Bolingbroke raccontato nel Riccardo II, viene rappresentato da Shakespeare nell’Enrico IV parte prima, come affatto dissimile dal Riccardo a cui ha usurpato il trono: scosso nell’animo e pentito, costretto a rimandare un viaggio in Terrasanta per chiedere perdono dei suoi peccati. Riccardo II 2


La messinscena pensata da Musella e Mazzarelli, a fronte di buone prove attoriali da parte dello stesso Mazzarelli nei panni di Riccardo II e di Massimo Foschi (Gaunt in Riccardo II e sovrano nell’Enrico IV), manca talvolta di quello spessore che caratterizza l’opera shakespeariana. Ciò che fa di Riccardo II un personaggio notevole è la compresenza in lui di istinti nobili e bassi, il suo essere un letterato e squisito conoscitore delle arti e al contempo tanto ignobile da invocare la morte dello zio Gaunt e da esiliare ingiustamente Mowbray e Bolingbroke, confiscando le terre di quest’ultimo. Il personaggio shakespeariano, la cui vicenda ricorda assai da vicino quella dell’Edoardo II di Marlowe, subisce in scena una vera e propria torsione alla notizia dello sbarco di Bolingbroke sulle coste inglesi, mostrando quella stessa fragilità e quella stanchezza di vivere che sarà propria di Amleto e di gran parte del Novecento. Alla gestione del regno e della crisi politica in atto, Riccardo preferisce l’autocommiserazione e le meditazioni sulla vita e sulla morte: l’incapacità di arrestare gli eventi in corso lo porta ad invocare unicamente l’infallibilità che gli deriverebbe dall’essere un re legittimo, l’Unto del Signore. Se la scelta registica di racchiudere l’intero Riccardo II in poco più di un’ora di spettacolo può essere apprezzabile, assai meno lo è quella di eliminare alcuni passaggi fondamentali dell’opera: la scena della rottura dello specchio dell’atto quarto – che secondo molti costituisce il punto più drammatico della storia – e quella della ritrovata virilità di Riccardo nell’uccidere tre guardie per poi essere ucciso: ne soffre in maniera considerevole la complessità e grandezza del protagonista. E se nella prima parte della rappresentazione il vero senso del dramma shakespeariano sembra latitare, nella seconda parte – quella dell’Enrico IV parte prima – questo è totalmente assente: non convince, infatti, la scelta di operare un cambio repentino di ambientazione – improvvisamente contemporanea – e di toni, laddove all’eloquio prevalentemente lirico di Riccardo si sostituisce un linguaggio eccessivamente basso e volgare. A ciò si aggiunga una regia a tratti imprecisa nel gestire la grande quantità di personaggi presenti: sfugge talvolta il motivo dell’ingresso e uscita di alcuni, così come l’improvvisa ritirata di chi è in secondo piano prima che la scena sia conclusa. Tutto ciò che accade sul palco dovrebbe avere un senso, e in particolare nel teatro di Shakespeare, che nulla lascia al caso o all’incuria.

Pasquale Pota 11/07/2018