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“Morsi a vuoto”: uno psicologo e la sua paziente trasformano la tragedia in farsa

Si chiamano Luciana Maniaci e Francesco d’Amore e dai loro cognomi nasce il nome della compagnia Maniaci d’Amore.
“Il riso inizialmente appartiene ai demoni che per mezzo di esso negano il creato. Un suono emesso della bocca ha l'immenso potere di togliere ogni senso a ciò che esiste. Quando gli angeli per la prima volta sentono questo riso restano sconcertati. Non sapendo bene come reagire prendono a imitare il riso dei demoni, il loro è però più acuto e ha il significato opposto: afferma il senso, conferma la sua presenza.”
Da questo passo de “Il riso del libro e dell’oblio” di Kundera, i due autori-attori prendono lo spunto per scrivere lo spettacolo “Morsi a vuoto” con la regia di Filippo Renda, ultimo della “Trilogia del gioco” in scena a Roma al Teatro dell’Orologio.
La trilogia, che comprende anche “Il nostro amore schifo” e “Biografia della peste”, ha reso i Maniaci d’Amore una tra le più accreditate realtà emergenti nel panorama della nuova drammaturgia italiana.
I Maniaci d’Amore osservano con disincanto la realtà che li circonda e s’interrogano su cosa significhi ridere, se sia qualcosa di frivolo, di pericoloso, di dissacratorio o di costruttivo e provano a darsi una risposta.
In un quadro tragicomico e grottesco i due protagonisti. s’incontrano e si scontrano Uno psicologo violento e poco capace è segretamente innamorato della sua paziente, Simona, e tenta di curarla con dei cliché che “mordono” senza afferrare davvero i suoi problemi.
Simona, dall’accento siculo, è una ragazza ironica e confusa che racconta la sua vita allo psicologo. È promessa sposa a Manfredi, un giovane che la tradisce con due svedesi, ma questo poco importa, lei proviene da una famiglia modesta e l’opportunità di avere una bella casa e dei gioielli è imperdibile.
I due sono seduti su sedie imbrattate di sangue e il loro dialogo folle ed eccentrico mette alla berlina valori che si svuotano di significato fino ad arrivare ad un puro nichilismo.
Ai Maniaci d’Amore piace giocare con gli stereotipi e portarli alle estreme conseguenze. Questo ridente gioco, a cui rimanda il titolo della trilogia, forza i protagonisti a perdere i filtri emotivi, e funziona grazie alla loro drammaturgia che contempla e condivide con il pubblico “i morsi a vuoto”: quelli che sono i nostri limiti, le nostre insoddisfazioni, le diffidenze e gli impedimenti con cui siamo cresciuti.
"Di fronte ai boati del crollo c'è sempre qualcuno pronto a scambiarli per l'eco di un rave. Siamo noi. Siamo fatti così" dicono i Maniaci d'Amore.
Al termine dello spettacolo la domanda sorge spontanea: Simona rappresenta la generazione senza inconscio oppure il suo ridere è un modo inedito di arrivare ad una profondità?
La risata sembra essere la perfetta arma di difesa dal malessere; la crisi sarà possibile solo di fronte all’idea della morte.
La semplicità e la schiettezza con cui i due attori hanno raggiunto il pubblico è stata quella di chi sa cos’è il teatro nel suo senso più profondo. La loro ironia, quella di chi è così intelligente da saper ridere di se stesso.

Livia Filippi 09/02/2016

Foto: Daniela Capalbo