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Monologo per un uomo di troppo: “L’intruso”

Immaginate di ritrovarvi chiusi in una stanza con un uomo che vi supplica di ascoltare la sua storia e alla fine vi chiede di giudicarlo. Considerate che le possibilità sono due. Ascoltate ciò che ha da dire oppure vi alzate e andate via, ponendovi a vostra volta sotto lo sguardo sorpreso e sdegnato di un pubblico giudice.
Scommetto che restate ben attaccati alla vostra sedia.
L’uomo che chiede disperatamente la vostra attenzione è un sociopatico: vi serve su un piatto d’argento le sue ossessioni e manie, il suo odio verso una società piramidale somigliante a una grande macchina d’acciaio che ingoia gli uomini per farne ingranaggi.
Quest’uomo sensibile e nevrotico si mostra a voi senza maschere, come poche volte accade in teatro e ancora di più nella vita, condivide con voi la sua dolorosa inettitudine e le aspirazioni stroncate, il suo mondo fatto di letteratura e perdizione.
Siete davanti a un uomo intelligente e pericolosamente privo di iniziativa, a tratti anche simpatico e disperatamente umano immerso in un universo alienante che lo rigurgita. Forse una piccola parte di voi che segretamente tenete sotto chiave in qualche luogo oscuro della vostra anima si riconosce in lui e lo saluta curiosa.
Bene, costui è incapace di intrattenere relazioni e intessere rapporti con la vostra specie e riesce a trovare il suo unico contatto affettivo nel corpo della figlia tredicenne dei suoi vicini di casa.
“Otto anni e undici mesi di condanna, gli anni più belli della mia vita”, vi dice.
Solo la galera è riuscito a tirarlo in salvo dal quel feroce meccanismo cui la società degli uomini-leader lo aveva condannato. Ora è finalmente uguale agli altri e gli altri sono uguali a lui, allineati sullo stesso gradino della colpa.
Coraggiosa e inaspettata la virata sul tema della pedofilia che il suo racconto prende lasciando solamente immaginare ciò che succede tra l’uomo e la ragazzina. Di ciò che accade, non vi viene detto nulla ed è proprio questo il fattore disturbante della narrazione, non sapere fin dove spingersi a immaginare, la fantasia potrebbe inciampare nel morboso e indugiare troppo.
Infine voi, quest’uomo come lo giudicate? Vittima, carnefice o semplicemente pazzo?
Dopotutto il teatro non ci chiede che questo, quando ci sediamo davanti al sacro altare del proscenio. Ci chiede un giudizio che, non è altro che una reazione.
Il teatro e la sua magia falliscono laddove ci lasciano indifferenti. E l’intruso di Davide Tassi, non può lasciarci indifferenti.

Imma Amitrano 07/04/2016

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