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“Molotov”, l’Informazione è una brutta bestia

Il giornalista lo conosce bene il precariato. Qualcuno gode del beneficio di un contratto, pochi e per lo più vecchie glorie, ma il precariato di cui parliamo è quello di un mestiere che naviga in balia delle fonti, che ha bisogno di ricalcolare le rotte per ogni storia, che si orienta osservando il cielo emerso dai “giri di cronaca”.
Loro, quelli nelle questure, gli avvocati, qualche amico Pm, producono gli atti giudiziari. Il giornalista li racconta. Ma alcune volte quelle storie, come rotte senza cartografia, partono proprio dalle esplorazioni dei giornalisti stessi, da coloro che hanno bisogno di approdare alla verità.
Molotov” è lo spettacolo, andato in scena al Teatro Tordinona, per la regia di Francesca Romana Miceli Picardi, tratto dalle vicende giudiziarie della giornalista calabrese Rosamaria Aquino che ha voluto trasporre, prima in un libro poi in drammaturgia, i fatti che l’hanno vista protagonista nel 2012 e che, per circa un anno, l’hanno trascinata all’interno di un tornado di calunnie e incertezza. Il palcoscenico trasformato in un cantiere, che si fa redazione, città e ancora palcoscenico per una vicenda che fino alla fine speri sia solo frutto della mente di un drammaturgo. Pare di no.
Protagonista è Margherita Carsi (interpretata da Mariateresa Pascale): giornalista di cronaca giudiziaria, aveva scoperto l’esistenza di una serie di appalti truccati dall’amministrazione comunale (gare con una sola azienda partecipante, nomi molotov002ricorrenti negli incartamenti...) e questo l’aveva indotta a intraprendere una serie di indagini personali al fine di far luce sulla vicenda e sui magheggi dell’amministrazione comunale. Margherita è un personaggio scomodo, anche per il suo attivismo nei movimenti per i diritti dei lavoratori, e questo è l’ennesimo affronto ad un sistema che non ammette repliche e in cui si fa del “silenzio-assenso” una virtù. Così, il sindaco, per metterla a tacere, fa in modo che venga accusata di aver piazzato una bomba all’interno di una cabina telefonica di fronte alla Questura. Inizia così l’inferno di Margherita, perché quando l’indagato è il giornalista, si spezza automaticamente il rapporto con quelle “fonti” prima così familiari, di fronte a te ma dalla tua parte, dalla parte opposta eppure alla pari.
L’informazione è una brutta bestia, specie quando ti arriva quella voce dall’alto: “il Ministro me lo fai bello in prima pagina”, ché noi con i giornali ci cambiamo il mondo ma tu dovresti pure essere grata. Ma chi andiamo a informare se confezioniamo prodotti, piatti precotti di gratitudine? A costo di cosa ci prendiamo la responsabilità di parlare, di chiedere, di infastidire, di scrivere? Per chi lo facciamo se i nostri lettori si fermano all’occhiello, se parliamo una lingua con le stesse regole ma diversa per tutti? Chissà se Margherita queste domande se le è mai poste prima di ritrovarsi tra le colonne delle pagine di giudiziaria ma non come firma al pezzo, bensì tra i grassetti degli indagati, tra “cattivi”, tra i perseguitati dalla magistratura (che se è vero per lei, allora vale anche per tutti gli altri).
Mentre si smantella pezzo dopo pezzo, dal nastro al telone, l’impalcatura sulla scena, viene giù l’amarezza della passione, i difetti di un motore, come quello che spinge inevitabilmente chi si accosta a questo mestiere, che subisce mille avarie ma non muore mai. Perché se è vero che sei quello che scrivi è vero anche che sei quello che decidi di non scrivere, mentre per tutti sei quello che ti viene pubblicato.
Lieto fine o no (n.d.r. le accuse a Rosamaria Aquino sono cadute circa un anno dopo grazie al riscontro negativo seguito all’esame del Dna), di questa storia resta l’immenso carnevale di sentimenti che girano intorno all’ingiustizia, in cui la delusione lascia presto spazio alla disperazione se non ci fosse sempre quell’ansia di verità che fa di uno scribacchino un giornalista, di un essere umano un cittadino uguale di fronte alla giustizia. Perché “la Verità – dice Margherita – non profuma”, ma anche il terreno peggiore, concimato, diventa fertile.

Federica Nastasia 23/05/2016

Nella foto l'autrice Rosamaria Aquino

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