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Pierluigi Bevilacqua-“Frichigno!” e Sergio Del Prete-“Sconosciuto” infiammano il Milano Fringe

MILANO – Sono i due interpreti che più hanno impressionato positivamente al Milano Off Fringe Festival per presenza scenica, carica emotiva, padronanza del palcoscenico, per le loro storie toccanti e struggenti, per la consapevolezza fisica e drammaturgica. Stiamo parlando di Sergio Del Prete, attore campano protagonista di “Sconosciuto”, e Pierluigi Bevilacqua che ci ha portato dentro le spire foggiane di “Frichigno!”. Due storie che hanno molto in comune: ovviamente quello che salta agli occhi è questo Sud che è poco madre e molto matrigna, un Sud che corrode lentamente i suoi figli, che toglie la terra da sotto i piedi, che incastra, impantana, ti affoga nel fango, ti lascia nelle sabbie mobili senza fune, impotente, senza forze, prosciugato. Un Sud lontano dalle cartoline dei turisti che d'estate accendono le luci su sole e mare mentre durante l'anno tutti si scordano, o non vogliono vedere, quello che succede nell'immobilismo, nell'omertà, nell'impossibilità di un futuro degno di questo nome.

E da qui nasceSconosciuto.jpgSconosciuto. In attesa di rinascita” di e con Del Prete, attore solido, che fisicamente riempie il piccolo palco di led a creare un recinto luccicante, che abbaglia quel che non puoi fuggire, la tua sorte che ti insegue come la tua ombra e che non puoi lasciare, che non riesci ad abbandonare. In fondo un'apertura a semicerchio quasi cuccia da cane, tenuto alla catena, forno per passare guccinianamente dal camino, o bocca dell'utero, partorito nuovamente con fatica e sudore e sangue. Come sottolinea il titolo questa è, dovrebbe essere, una rinascita, nuovamente risputato, e rispuntato, alla vita. Ed è un incedere di violente parole d'angoscia e attimi dove la parola d'ordine è “paura”, paura di perdersi, paura di non sapere chi siamo, paura di andare come paura di restare, sempre sospeso, traballante, claudicante tra mille forse, zoppicante tra vorrei irrealizzabili e creduti lontani e impossibili da raggiungere.

In questo clima, in questa periferia, in questo grigiore che dai palazzi arriva a macchiare e lordare anche le pareti dell'anima, la speranza è la prima ad arretrare, a scomparire, a chinare la testa di fronte a quel mondo fisso, eterno, che pare statuario, nell'impossibilità di cambiarlo, nell'impossibilità di felicità, nell'impossibilità di realizzarsi come persona, come individuo, cercando qualcosa in più del sopravvivere e dell'arrivare a domani. Una Napoli lontana anni luce da pizza e sole, da Vesuvio e Maradona, forse più vicina ai fondali naturali di Gomorra o a quelle Vele che non volano. Quello che ci dice Del Prete (ha il phisique du role di Raiz degli Almamegretta), investendoci con le sue parole di battaglia, è un mondo purtroppo già visto e sentito, ma l'attore ci mette forza e convinzione, rabbia e lacrime, una sorta di miserere e buoni propositi che si incagliano negli spigoli oggettivi della realtà sempre Sconosciuto. in attesa di rinascita.jpgpiù acida e fastidiosamente appuntita, scarnificante. C'è poesia e risentimento, rassegnazione e abbattimento, e ogni volta che vede un piccolo barlume nella sua progressione drammaturgica subito rincula verso un abisso consuetudinario a macerarsi nel solito porcile che sterilizza i sogni, che toglie le energie necessarie per poter pensare di cambiare le cose. Le key board sono il non sentirsi adeguati a nessuna situazione, il non ritenersi degni e adatti, la bassa autostima, il vivere con il freno a mano tirato in un continuo vorrei ma non posso logorante, stancante, sfibrante, ammorbante, deludente pieno di solitudine, di desideri ammosciati, di luci fioche, di zero soddisfazioni, con il domani uguale a ieri, con l'oggi in loop impercettibilmente peggiore di ieri. E i debiti e le mancanze e un intorno che propone orizzonti di rifiuti e televisori accesi sul nulla colorato che trabocca manesco e urlante dai vari canali starnazzanti, i silenzi di schiamazzi vuoti che fanno male, “terra bugiarda, terra di veleno, terra in cui l'amore non basta”. “Come fai a riconoscere la bellezza se cresci in mezzo ai palazzi abusivi?”. E' il ghetto che ti mangia, è la distanza che ti tiene lontano, che ti emargina, è l'assenza di abbracci, è quella mano allungata che non riesce mai a toccare l'oggetto del desiderio che diventa sempre più piccolo inasprendoti, inacidendoti, incattivendoti, spezzandoti dentro. Sergio Del Prete, immerso in una bella scrittura pungente, ci racconta queste “nostre vite scassate”, con la furia, tenera e allucinata, di un De Niro in “Taxi Driver”, con decisione, risolutezza e chili di personalità.

Stessa pasta e impronta per “Frichigno!” (Piccola Compagnia Impertinente, testo ricco di Enrico Cibelli): stavolta siamo a Foggia, anni '90, e Pierluigi Bevilacqua (corpulento e corposo, in una parola: di sostanza) dà spazio al suo repertorio che miscela comicità esondante nella prima parte alla quale segue un'amara riflessione acre in quella conclusiva. Illuminante e geniale l'incipit, la molla che tutto fa scattare, l'incastro di due personaggi lontanissimi, uno del grande panorama mondiale, l'altro, anche se ugualmente pubblico, vicino, terreno, tangibile, locale. Come avere un binocolo e poter vedere Seattle e l'intorno a te e poi metterli insieme, sullo stesso terreno comune, nella stessa diapositiva. Miscelare Kurt Cobain, eroe musicale con la sua fine annunciata che aveva distrutto l'era del rock e del pop con il grunge e sovvertito le regole dell'establishment musicale, con Zdenek Zeman, allenatore di Praga, contro i poteri forti, allenatore del Foggia dei Miracoli. Li accomunano gli stessi anni, nel '94 Cobain si spara, la stagione di serie A '93-'94 è l'ultima di Zeman con la squadra pugliese rossonera; e il frontman dei Nirvana e il Boemo vivono dentro, come ribellione, come rivalsa, dentro gli occhi e il petto di un adolescente che trova in queste due “divinità” un appiglio, un antidoto alla solitudine in una città sempre descritta dal Sole 24 Ore come maglia nera d'Italia per mancanza di lavoro, prospettive, qualità scadente di vita, dei servizi, abbandono scolastico, criminalità, fiducia nelle Istituzioni. E Zeman, con la sua squadra tutta votata all'attacco, è come se dicesse a questo ragazzo, e a tutti i foggiani, che finalmente “possiamo pensare in grande”, che “ce la possiamo fare”, che “non siamo sempre gli ultimi”.

La genesi di Frichigno poneFrichigno.jpeg le sue basi con gli americani venuti a liberare lo Stivale dal Nazi-Fascismo: giocando a calcio, quando c'era un fallo il soldato a stelle e strisce gridava “free kick”, ovvero punizione, facile la trasposizione per assonanza in frichigno che, se si vuole, sembra più ricordare un giocatore brasiliano tutto dribbling ubriacanti e colpi di tacco. Se nella prima tranche Bevilacqua è associabile a Checco Zalone (soprattutto quando canta l'inno del Foggia strimpellando, male, le corde di una chitarra), nella seconda si trasformerà in Roberto Saviano. Zeman che porta la fantasia al potere, che è contro il doping e contro il sistema Juventus, uno che non si piega pagandone le conseguenze, uno che non è omertoso, che insegna che, con la fatica e sudore, i risultati si possono ottenere. E Zeman cambia la percezione del mondo per i ragazzi di Foggia di allora, gli dice quello che gli adulti, la scuola e la politica non sono riusciti, o non hanno voluto, dire loro: bisogna lottare, rimboccarsi le maniche, sudare, e dove non si arriva con il talento si può arrivare con la corsa, con la tenacia, allenandosi più degli altri, perché se ti impegni tutto diventa possibile, se rispetti le regole: “Il risultato è casuale, la prestazione no” è l'emblema che se fai le cose per bene prima o poi verrai Pierluigi-Bevilacqua-1068x713.jpgpremiato senza dover scivolare nel vittimismo. Zeman ha ridato una verginità ai foggiani (e al Sud), non li ha fatti più vergognare di ciò che erano, gli ha dato un motivo d'orgoglio, di appartenenza: “Non avevamo più paura”, “Esistiamo anche noi”.

Ed è in questo nuovo clima di giustizia e di voglia di farcela, di rialzare la testa e urlare al mondo “Ci siamo anche noi”, che si interseca l'ultima coraggiosa parte, quella dove Cibelli-Bevilacqua (in una drammaturgia sempre organica e viva) fanno i nomi e i cognomi delle famiglie che da decenni annientano e soffocano Foggia con bombe e strozzinaggio, minacce e pizzo, tangenti e corruzione, attentati e omicidi, rapimenti. Cose che non escono sui giornali, fatti che non arrivano al grande pubblico perché la Puglia è bella, la Puglia sono i trulli e il Salento, ci sono le masserie e i vip, e “lu sule, lu mare, lu ientu”. E' un j'accuse feroce e dritto, senza sconti, senza scorciatoie, con i responsabili chiamati uno per uno, con i tanti, troppi istituzionali “la mafia non esiste”, con il Comune, unico esempio, che non si costituisce parte civile nei processi contro la criminalità organizzata. Il '94 è la fine delle illusioni, l'entrata nel mondo degli adulti, la fine dei giochi, muore Cobain, finisce l'era Zeman e tutto ritorna grigio come prima, sbiadito. E' un urlo per la propria città, per la propria adolescenza che qualcuno si è rubato. A livello italiano dopo Tangentopoli, e l'ondata di proteste e il desiderio di pulizia, arriverà Berlusconi: “La nostalgia è un album da colorare già colorato”. Emozionale, motivazionale.

Tommaso Chimenti 28/09/2022

Foto "Sconosciuto": Guido Mencari

Leggi qui il resconto su Milano Off Fringe Festival: https://www.recensito.net/teatro/milano-off-fringe-festival-resoconto.html 

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