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Milano: Fabrizio Gifuni affronta nuovamente Pasolini con "Ragazzi di vita"

Quando le parole acquistano una vita propria, quando la voce che le sostiene ci strappa dai nostri pensieri e ci trascina nel mondo raccontato, quando il palco si anima di persone che respirano, si disperano, giocano, vivono solo grazie alla voce di un attore che si mette completamente al servizio di un universo letterario allora avviene qualcosa di veramente unico. Questo è ciò che accade sul palco del Teatro Franco Parenti con Fabrizio Gifuni che ha deciso di incontrare nuovamente un testo di Pasolini - dopo"Na specie di cadavere lunghissimo" - con "Ragazzi di vita”.
Partendo da una delle frasi di Pasolini "La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi", entriamo immediatamente nel mondo del primo romanzo pubblicato da Pasolini nel 1955, per il quale lo scrittore dovette affrontare un processo per oltraggio al pudore. Il testo venne allora considerato "un reperto sociale, un documentario sulle borgate e non un risultato formale, letterario, costruito sulla base di una particolare prospettiva dello scrittore”, come dice Vincenzo Cerami nella prefazione dell'edizione del romanzo pubblicato da Corriere della Sera in queste ultime settimane.
La struttura del romanzo qui viene rispettata e da quelle pagine grazie alla bravura interpretativa di Fabrizio Gifuni, i ragazzi protagonisti scelti da Pasolini raccontano se stessi, sbandati, abbandonati, soli, figli di una Roma che li respinge, li tiene ai confini della città, li rende fragili e violenti, deboli e arroganti, prigionieri di una paura che corrode l'anima e li priva di ogni capacità; nel romanzo come sul palco si raccontano senza filtri e l'autore diventa solo un mezzo per far sentire la loro voce, senza giudizio, senza riflessioni, senza pensieri che possano renderli diversi da ciò che sono.
Tutto ha un senso all'interno della narrazione, ogni dettaglio, ogni gesto, ogni espressione, ogni intonazione perché quel mondo è così profondamente pregnante di realtà che non può che diventare presenza sul palco. Per una volta non ai margini della storia ma al centro coloro che vengono considerati gli ultimi, ragazzi di vita come il Riccetto, alla ricerca di qualcosa in un mondo che li rifiuta, che li allontana, che li fa sentire soli e inadeguati; nessuno li difende e per questo si sono creati un mondo tutto loro, dove le leggi sono le loro e dove esiste solo un desiderio, quello di sopravvivere e arrivare al giorno successivo. In questo incontro tra Pasolini e Gifuni, teatro e letteratura si fondono,traendo l'uno dall'altro linfa vitale per dare corpo alla memoria, per non dimenticare un autore contemporaneo che comincia a diventare sempre meno conosciuto, i cui contorni cominciano a diventare sempre meno nitidi.
Gifuni si abbandona al senso profondo di quelle parole, a volte perdendosi in quel mondo duro, difficile, spaventoso in un viaggio che dalle pagine di un libro ad un palco continua a evocare una realtà che non può e non deve essere dimenticata e soffocata dal silenzio.

Sala Grande, fino al 15 novembre Teatro Franco Parenti, via Pier Lombardo 14, Milano

Tamara Malleo 14/11/2015