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Milano: alta prova da attori quella al Piccolo Teatro Studio Melato con “Prova”di Pascal Rambert

“Prova” è la versione italiana di Répétition, scritto e diretto da Pascal Rambert, uno spiazzante monologo a quattro voci, un massacro verbale tutto giocato sul binomio vita e teatro, una prova da attori straordinaria in cui emerge una forte tensione emotiva. Quattro i personaggi in scena: due donne e due uomini, che interpretano se stessi. Difatti gli attori Anna Della Rosa, Laura Marinoni, Luca Lazzareschi, Giovanni Franzoni, mantengono i loro nomi anche nella finzione scenica proprio per non allontanarsi dall’idea base del testo: il teatro si mescola nella realtà e la realtà nel teatro creando un gioco di intrecci e situazioni in cui sia i protagonisti che gli spettatori si perdono nel delirio generato dalle parole, che straripano come un fiume in piena dalla bocca dei protagonisti. Lo spettatore assiste a una sorta di sfogo-confessione di quattro attori riuniti per una prova, quella appunto del titolo della rappresentazione, in cui emerge la profonda esigenza di fare un punto sulla situazione del teatro e dell’arte in genere.
Così, quella che doveva essere una prova, di cui difatti, non c’è la benché minima traccia, se non un tavolo attorno al quale sono seduti gli attori, diventa un dibattito o meglio un processo al teatro e agli elementi che lo pongono. Così il tavolo della sala prove diventa il banco degli imputati rappresentati in primis dagli attori, a seguire dalla struttura, dalle parole, dall’atto, dalla scena. Tutto è passato in analisi in un continuo svelamento a cui dà inizio Anna Della Rosa, con un registro recitativo molto nervoso, a tratti irritante, chiaramente voluto, proprio per sottolineare la repulsione e l’avversione nei confronti di una vita in cui la gente sembra non avere più nulla da dirsi, in cui l’individuo non riesce più a vedere la bellezza perché non sappiamo più che farcene. A lei il compito di affrontare il monologo più lungo e difficile. E’ lei che grida in faccia a tutti, con gli occhi sgranati, di voler togliere la museruola alla parola, ad affermare che siamo tutti dei parassiti perché pensiamo di descrivere il mondo fatto da una sfera di parole, che altro non sono se non il suono della cosa. Siamo una generazione disfatta raggruppata attorno ad un tavolo che ha vissuto di illusioni. Vita e teatro si scontrano.
A seguire prende il testimone Laura, l’attrice spregiudicata che non si nasconde dietro le parole, le usa tutte, anche quelle che disturbano lo spettatore; è stanca di 20 anni di fughe idiote per nascondere la passione per Luca. Laura crede che gli uomini-attori si scanneranno per la pelle umana. E’ pienamente consapevole che bisogna godere, provare qualcosa. Per Laura il mondo non è sotto stato di anestesia ma pelle dolce ogni volta che godiamo. Anche gli attori vogliono cadere nel baratro e sentire la vita. Gli attori sanno veramente interpretare l’atto? Si può avere molta fame come un lupo e desiderare due corpi allo stesso tempo come “un rasoio aperto”. Ed in questo c’è molto piacere. Uomini e attori vivono in due mondi, uno reale e uno tenuto dentro in attesa di uscire al sole e dire la verità. Noi dobbiamo scaturire come una sorgente, ma tendiamo a tenere al guinzaglio la vita interiore e con essa la bellezza. Urge cercare la verità e lo possiamo fare entrando nelle persone attraverso le loro mani perché rivelano l’anima dell’individuo. La mano è il volto del pensiero visibile in movimento. Se vogliamo conoscere, dobbiamo toccare. Siamo avari e non amiamo abbastanza. Il monologo di Laura è il quadro sconfortante di un mondo visto come una tragedia ed espressione di questa tragedia è la nostra esistenza. Protagonista del terzo monologo è Luca e con l’avvento in scena degli uomini, il tono dei monologhi si fa più “piano”. Il monologo di Luca ha al centro i concetti di suono, rumore, silenzio. Noi forse parliamo troppo e questo ci fa sprofondare nell’abisso. Ancora peggio è che si crede di parlare ma non si dice nulla. Il linguaggio esprime l’impronta di un vuoto, un abisso che parla. Allo stesso modo, scrivere è sopravvivere ad una esplosione. Bisogna viverle le cose per scriverle. Gli artisti sono come draghi, sputano mondi possibili.
Per Luca una via di uscita dal malessere è la lettura. Il libro è il contatto con la gente. Forse dovremo sbarazzarci delle illusioni o sguazzare nelle menzogne della Storia? Noi viviamo come sfollati del pensiero. Per quanto andiamo errando non troviamo il nostro scopo nel mondo. Per ultimo prende la parola il più tranquillo Giovanni a cui spetta il compito di chiudere le disquisizioni sul teatro, l’arte e la vita in generale. Giovanni con la sua mise bianca, si fa messaggero che parla tra i cadaveri, le macerie. La parola per lui è una linfa e cristallizza. Ed il senso consiste in questa cristallizzazione, sottile come un corallo bianco e la parola è il suo veicolo attraverso la bocca. L’uomo creativo è quello che sente, non molla mai. Noi siamo un branco creativo, “che ingoia lo stesso tragico pasto”. Novello Cristo Risorto, Giovanni ci rivela che la Storia non è morta. Quando l’io ed il mondo si fondono, danno vita alla Storia. Bisogna prendere le distanze dalle rappresentazioni vecchie, privilegiando la semplicità, la verità. Se dobbiamo guardare la realtà, dobbiamo farlo attraverso il suo specchio ovvero la finzione. Bisogna allargare il cerchio dell’amore perché regga il mondo anche se il pensiero intellettuale impone il cinismo a reggerlo. Siamo ormai senza legami. Ognuno abita il sogno dell’altro. Abbiamo scambiato gli oggetti con le idee dell’uomo. Non si può continuare a vivere così, “la Storia non è morta, sarà lei a risollevarci dalla miseria in cui siamo sprofondati”. Con questo inno liberatorio in cui l’uomo riprende le redini della propria esistenza, si conclude il trattato teatrale di Rambert, un testo ricco di spunti e riflessioni sul teatro e sulla vita.

Adele Labbate 12/04/2016

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