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“Mi ricordo di te”: al teatro Elettra va in scena l’ironia della vita

Un racconto intimo che si fa condivisione. Un avvenimento personale che diventa spunto per una pièce teatrale. Siamo al teatro Elettra, alle spalle del Colosseo, un teatrino accogliente dotato di poco più di 30 poltroncine, ed è qui che il regista Massimiliano Milesi ha portato in scena “Mi ricordo di te” (dal 4 al 14 febbraio). La commedia è nata da un parto gemellare che ha visto, il 4 febbraio appunto, venire alla luce anche l’omonimo romanzo, opera terza dello scrittore Stefano Terrabuoni.
Il ricordo – o meglio il mancato ricordo – è il tema attorno a cui ruotano i due prodotti artistici. Lo scrittore Terrabuoni ha costruito il suo romanzo attorno alle testimonianze di vita di alcuni suoi amici, principalmente sulla base del racconto fattogli da Massimiliano Milesi stesso circa un avvenimento accadutogli tempo addietro: il regista teatrale è stato vittima di un’ischemia transitoria, un episodio di disorientamento e sbandamento che gli ha indotto una breve e temporanea perdita della memoria. Terrabuoni ha dunque fatto sua la storia personale di Milesi trasformandola in un romanzo, per poi – in un secondo momento – ridonargliela e far sì che ne dirigesse l’opera gemella, quella teatrale, portata in scena dalla Compagnia Teatro da viaggio, con Carla Aversa, Alberto Albertino, Valentina Mauro, Manuela Arcidiacono, Mauro Manni e Massimiliano Milesi.  
Un’esperienza di vita particolare che ha fatto nascere un prodotto artistico ironico, dissacratorio, una messa in scena che strappa continui sorrisi agli spettatori presenti nella sala piccola ma gremita, così vicini al palcoscenico da sentirsi ospiti dell’interno rappresentato.
L’opera si svolge interamente, difatti, in una sala da pranzo. Una coppia, una cena tra amici, un evento passato da qualche settimana e che però tiene ancora banco: Filippo, marito di Erminia nonché padrone di casa, ha perso la memoria per qualche ora, ma, testardo, ha deciso di non approfondire l’accaduto. La serata inizia, tutto sembra trascorrere normalmente, tra amicizie, promozioni lavorative, amori leciti e illeciti… e ricordi! Ma quali ricordi? Filippo confida più volte allo spettatore di non avere alcuna reminescenza dei vari episodi raccontati dalla moglie, da Margherita – amica di sua moglie e amante di Filippo stesso – e dagli altri commensali. Anzi, a voler precisare, Filippo ricorda a fatica anche i volti dei suoi amici. Le risate invadono la platea, tra le confessioni di Filippo e i dubbi della moglie, tra le avances di Margherita e la sospetta ritrosia del protagonista. Ma ad un tratto qualcosa si rompe, il sentiero inizia a confondersi, il gioco di ruoli diventa meno evidente e così si scopre la verità: le continue amnesie che hanno seguitato a tormentare Filippo dopo l’ormai famoso evento hanno spinto Erminia a organizzare una messa in scena. Dunque gli amici non sono amici, i ricordi non sono ricordi, Margherita non è la sua amante. Il terrore che assale Filippo nello svolgersi della vicenda, e che viene raccontato in maniera ironica allo spettatore, dà però i suoi frutti: Filippo decide di sottoporsi alle varie analisi.
Si conclude la messa in scena nella messa in scena, ma la commedia continua regalando un nuovo punto di svolta: Margherita confessa il suo amore – stavolta reale – a Filippo e, mentre i due si apprestano ad assecondare il loro desiderio, l’azione viene interrotta dal suono del campanello.
A questo punto la pièce termina davvero. Il finale aperto lascia lo spettatore spaesato e dubbioso, mentre le luci si abbassano e iniziano gli applausi. Un’ironia semplice ed efficace, un utilizzo sapiente dello spazio scenico, una storia che cerca il coinvolgimento dello spettatore, e lo cerca a tal punto da lasciargli l’ultima parola sull’eventuale conclusione della vicenda: ognuno, sulla sua poltroncina, mentre batte le mani fragorosamente, si sta infatti domandando chi diavolo abbia suonato quel campanello.

Anastasia Griffini 19/02/2016

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