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Malaga: il flamenco del Kelipe e la cenerentola in formato Operetta all'Echegaray

MALAGA - In mezzo scorre il fiume. Già. Una volta. Ora è secco, vuoto, prosciugato. Sotto, alle pareti di quelli che furono argini bagnati, schizzi di Street art colorati e in secca. Se lo percorri dal mare verso le colline circostanti si arriva allo stadio dove i colori bianco e azzurro spiccano alla Rosaleda. La squadra però è in Segunda Division, la nostra serie B. A Malaga a dicembre ci sono dai 15 ai 18 gradi. Come una primavera. La spiaggia in città, addobbata di ristorantini sul mare con le tovaglie a scacchi e il braciere a forma di barca di pescatori, è un regalo per la salute, per quella forma di libertà che il mare sempre riesce ad elargire con il suo fruscio. Sulle infinite palme altrettanti infiniti pappagalli verdi, un’onda che cinguetta persistente e senza resa. Non puoi non assaggiare i churros con il cioccolato fondente nel Bar Central in Plaza de la Constitution, come non puoi non addentare le tapas o i pinchos che gli innumerevoli bar e ristoranti propongono. e798cb83e6f64a3d92ac2868223d7a0d.jpgUn mimo con il costume del gorilla e uno intento nella sua posa plastica polveroso e annerito come un minatore stanno agli imbocchi della via principale, Calle Larios. Sopra Malaga la fortezza Alcazaba di chiara origine araba mentre salendo ancora ecco il Castello dal quale si vede la plaza de toros attualmente chiusa al pubblico, il tondo dell’arena con il giallo della sabbia circondata dai palazzi a pochi metri dal mare. Al Museo Picasso è un continuo meravigliarsi così come al Centre Pompidou, filiale della madre parigina, che con il suo quadrato colorato si staglia, a fianco di un semicerchio nero, al Muelle Uno, il nuovo molo dove attraccano le grandi navi, luogo che ha trasformato Malaga rendendola più dinamica e giovane e moderna (anche più commerciale, che non è sempre una cosa negativa) con mercatini e locali alla moda.

Uno degli kelipe-arte-flamenco11.jpgspettacoli di Malaga però è, da centinaia di anni, il flamenco collegato a doppio filo alle popolazioni gitane che arrivarono nel sud della Spagna dal quinto secolo dopo Cristo in avanti. Lo storico locale Kelipe è caldo, nero e rosso, tavolini come in un club, candele, l’atmosfera prende fuoco, la magia si può respirare intima. Siamo dentro un mondo antico fatto di chitarre e scialli e tamburelli appesi, luci soffuse e tradizioni, folklore e corazon, sentimenti e sofferenze amorose. In quelle corde pizzicate con le unghie ed estrema armonia, in quella voce roca a strascicate il canto e ulularlo alla notte, in quei passi di danza fremente e arrabbiata, decisa e impetuosa, sta un miscuglio di ricordi e nostalgia, di amore e brividi che si spargono, ti travolgono come un’onda, ti abbracciano, ti scardinano. Tutto è intenso e profondo, le mani scivolano sulle sei corde pizzicandole e accarezzandole, i piedi battono roboanti sul palco che rimbomba di tonfi sordi. Il giovane cantante Josè de la Nana rimanendo a sedere sulla sua sedia ha le movenze del cunto, la sua voce baritonale è un’estensione che sfida le dinamiche della vocalità, le vocali finali allungate a perdifiato, i due danzatori, Raul Ruiz forza intrigante e determinazione, e Susana Manzano bellezza, fascino e atletismo, e l’energia soave del chitarrista Amit Zuker virtuoso senza limiti, fino alle lacrime, alla commozione, alla pelle d’oca. Quel battere di mani continuo, quell’incitarsi tra i quattro sulla scena in una marea di sensazioni a ricorrersi, a scaldarsi, a prendersi, ad abbracciarsi con voluttà, esotismo, eccitazione. L’aria è fumosa, da sottobosco urbano vissuto. L’atmosfera potrebbe essere quella di una balera romagnola come di una milonga argentina. Lo spettacolo è un alfabeto di gesti ancestrali, come i movimenti coreografati di un torero, intrisi di tecnica, intenti di passione, un’allegria triste che ci pervade, una tragica fiesta che ci bacia Opera_La_Cenicienta_baja_Foto_Daniel_Perez_08.jpgsulla bocca come un matrimonio, come un funerale. I quattro in scena, generosissimi e scatenati, si guardano costantemente, si cercano con lo sguardo fiero, sono consapevoli dell’arte che maneggiano e la rispettano e ce ne fanno dono. Tra le righe potremmo trovare delle similitudini con la musica araba come con Opera_La_Cenicienta_baja_Foto_Daniel_Perez_09.jpgi vocalismi neomelodici napoletani. Le scarpe con il tacco rinforzato fasciano e avvolgono piedi sensibili che ci scuotono con i colpi dati al pavimento che risuonano fuori e dentro di noi come martelli pneumatici ci sondano lo sterno. E il canto è un lamento di sirene, una preghiera verso l'eterno, il ritmo incalza e ci prende l’anima, la attorciglia, in un ritmo frenetico e appassionato che trasuda storia ed eros, mulinano i tacchi, sprizzano le punte, spiccano le caviglie, guizzano i quadricipiti femorali: una gioia per il petto e per gli occhi.

Favola che non conosce tempo, come il flamenco del resto, è anche “Cenerentola” (Cenicienta in spagnolo, prod. Teatro Real di Madrid, Teatro de la Maestranza di Siviglia, Teatro Cervantes di Malaga, Fondazione Opera di Oviedo) vista al Teatro Echegaray, un bell’esperimento riuscito di commistione tra teatro ragazzi e opera. Ne esce un pastiche godibilissimo con sette giovani cantanti eccelsi e un pianista dal vivo per una storia colorata antica ma con riflessi e risvolti pop e contemporanei. Quasi come se fossimo dentro “Sei personaggi in cerca d’autore” pirandelliano, gli attori e protagonisti della recita all’inizio entrano sul palcoscenico, una sorta di teatro nel teatro, in questo luogo mitico e magico ma chiuso da troppo tempo, e quindi polveroso. Da un baule è come se prendessero gli abiti di scena, che calzano a pennello, e i ruoli si impadronissero dei ragazzi trasformandoli nel Opera_La_Cenicienta_baja_Foto_Daniel_Perez_10.jpgplay millenario del gioco del teatro. Se una sorellastra ha i capelli tinti e il bomber rosa in stile Kardashian, se l’altra li ha arancioni e ci ricorda Lady Gaga ed entrambe hanno leggings e marsupio e cellulare e scarpe con la zeppa che si illuminano, se al posto della matrigna ecco il patrigno. Piccoli e pieni di senso accorgimenti per spostare, ampliare e avvicinare, divertendo, la fiaba al nostro tempo. Se le sorelle sono istupidite, arroganti, ignoranti e starnazzanti, Cenerentola, nel suo abito double face davanti grembiule da faccende domestiche e il risvolto diventa invece un bellissimo vestito da sera da ballo a corte di tulle e trasparenze mentre la carrozza è un carrello portabiti da Grand Hotel e il ciambellano finto-principe balla come in Walk like an Egyptian. Ne viene fuori un'operetta da camera ben costruita e congegnata per tutte le età con cantanti all'altezza, uno spettacolo fatto di trasformazioni perché in teatro si entra sempre come spettatori e se ne esce come partecipanti, come visionari, come sognatori.

Tommaso Chimenti 27/12/21

Foto Cenicienta: Daniel Perez

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