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A LuglioBambino vincono i Moztri: da vicino nessuno è normale

CAMPI BISENZIO – "No, non è vero che non sei capace, che non c'è una chiave" (Caparezza, "Una chiave")

Sfogliando la cronaca sembra che ormai il mondo sia diviso in due categorie: quelli che, nel Sud del mondo, per povertà, miseria e ignoranza, fanno tanti, troppi figli e li parcheggiano per strada alla mercé delle intemperie dell'esistenza, a certe latitudini brutale, e chi, nel Primo Mondo occidentale e viziato, mette al mondo piccoli cuccioli d'uomo per riempire le caselle della soddisfazione personale, dell'ego, della realizzazione. Ma il piccolo in arrivo non è, e non sarà, soltanto l'espressione del padre e della madre, ma sarà anche e soprattutto un essere indipendente e autonomo a tutti gli effetti, e questo, spesso, spaventa le coppie che o ne vorrebbero una loro copia, ma senza i loro difetti, oppure ambirebbero ad avere in casa o un piccolo genio o un campione di calcio così per risolvere tutti i problemi familiari. Sono i bambini che hanno bisogno dei genitori mentre spesso vengono utilizzati come alibi di vite fallimentari addossandogli colpe non loro, intristendoli, distruggendo le loro, ancora, fragili vite con comportamenti, soprattutto nei primi anni (l'imprinting), che si ripercuoteranno inevitabilmente sull'atteggiamento futuro.icona_moztri.jpg

Per questo, assistere ad uno spettacolo come “I Moztri” (non c'è nessun errore) dell'esperta compagnia Luna e Gnac (scelti dai direttori artisti del “Premio LuglioBambino”, Manola Nifosì e Sergio Aguirre, e vincitori della rassegna campigiana 2019, la ventiseiesima), ha una doppia valenza per i bambini ma anche per i genitori che li accompagnavano. Molte volte non si ascoltano questi piccoli corpi in crescita, le loro domande, le loro richieste, i dubbi, le paure, spesso si danno per scontati, spesso vengono messi nel frullatore delle attività da fargli fare, del riempimento delle giornate, degli appuntamenti tra sport, musica, cultura che molte volte nascondono l'imbarazzo dei genitori nel passarci del tempo insieme, condividere esperienze (certo è stancante e faticoso, richiedono energie e tempo, non minuti mordi e fuggi), entrare in contatto con il loro mondo fatto di fantasie, di buio, di perplessità non da colmare a tutti i costi ma sicuramente da ascoltare.

E il bambino protagonista di questa bella fiaba contemporanea, Tobia, è un bambino lasciato molto a se stesso perché ritenuto strano, diverso, perché chiuso, moztri-1.jpgperché solitario, perché ama disegnare mostri. Ma, come confessa in un finale commovente una voce infantile che ci fa sentire piccolissimi, “i Mostri anche se li disegni sbagliati puoi sempre dire che sono mostri fatti così”, evidenziando e sottolineando la fallacità della parola “normalità”: siamo tutti uguali proprio perché siamo tutti diversi, siamo tutti strani, imperfetti, sbagliati, quindi non lo è nessuno e tutti hanno diritto di essere amati per quello che riescono ad esprimere, e non ci sono canoni o regole rigide da seguire in comportamenti preconfezionati e standard da rispettare.

Il nostro Tobia disegna Mostri, che poi prendono vita in un mix delicato di disegno, proiezioni, slide, cartonati (il bambino è una tela che viene anche calpestata da padre e madre che nemmeno si accorgono che lui è lì sotto: scena che fa male), ombre e puppet dalle voci tanto sgraziate quanto adorabili e amabili, perché con loro può avere un dialogo, lui lasciato solo e abbandonato, senza empatia, dai genitori, i Mostri gli fanno compagnia e non lo giudicano (a differenza dei genitori sempre con il dito puntato sulle sue mancanze e mai sulle sue qualità) perché in definitiva nessuno, visto da vicino, è così normale. Il bambino è un sognatore, i genitori invece non hanno tempo per lui, troppo concentrati su se stessi, troppo presi dal lavoro, dal telefonino, dalle loro distrazioni e infarciscono l'agenda del figlio di attività che rimangono contenitori svuotati, senz'anima, perdite di moztri-7.jpgtempo se non fatte con amore, se non condivise con qualcuno che ti vuole bene.

In questa famiglia non c'è gioco, manca il dialogo, il bambino non ha voce in capitolo e, fino all'ultimo straziante e toccante monologo detto con un filo di voce, se ne resta muto, oggetto in balia delle proiezioni che madre e padre gli hanno affibbiato. Luna e Gnac riescono perfettamente a tratteggiare questi genitori “bipolari” che da un lato troppo apprensivi e ossessivi, gli fanno la cartella e i compiti, per non sfigurare come famiglia e cognome con la maestra, e dall'altro, improvvisamente, lo responsabilizzano troppo repentinamente, senza prepararlo, senza un graduale avvicinamento, portandolo inevitabilmente al fallimento per confermare la loro tesi che Tobia è distratto, non è attento ed è strambo e diverso.

Ci sono tanti moztri-9.jpgTobia là fuori destinati ad essere repressi, destinati all'infelicità e a vivere l'infanzia, che li segnerà per gli anni a venire, tarpati. Uno spettacolo per gli adulti. Assolutamente. Più genitori lo vedranno, più Tobia salveremo.

 

Poesia per Tobia

Se un bambino sogna

non deve essere messo alla gogna,

se passa le giornate a fare un disegno

non è di mancanza di attenzione un segno,

il problema è se i genitori per lui non provano amore

e con lui non trascorrono le ore,

se per il figlio non nutrono affetto

lui si sentirà un reietto,

se non riesce a farsi un amico

non significa che sia strambo, te lo dico,

solo i mostri lo salvano

perché non lo giudicano da sdraiati sul divano,

solo la fantasia lo aiutaELP-110.1.2887269601-2187311_1521276348-U11012878247958RhG-U11012879730056kbE-252x305_40LaStampa-BIELLA.jpg

e la sua matita non rimane mai muta,

Tobia grida la sua solitudine

schiacciato tra mamma e babbo come tra martello e incudine,

gli adulti a volte sono indifferenti

invece di avere aperte le menti,

e i bimbi che si meravigliano del mondo

hanno bisogno di genitori che insieme a loro lo dipingano rotondo,

essere della vita stupiti

non vuol dire essere stupidi.

 

Tommaso Chimenti 12/07/2019