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“Le ragazze di via Savoia, 31”: fare cronaca in leggerezza

Roma, 1951. Una giornata come tante per molti, una giornata speciale per qualcuno, una giornata che diventerà di paura per tutti. Il giorno in questione, infatti, è quello del reale e drammatico crollo avvenuto in un edificio durante i colloqui per l’assunzione di una dattilografa. Le scale non hanno retto il peso delle speranze di centinaia di donne accorse per un solo posto di lavoro.
Tra la moltitudine di aspiranti segretarie, “Le ragazze di via Savoia, 31” sono Ester, Caterina, Lucia e Rosa, donne diversissime per origine e personalità ma accumunate da un solo sogno: quello di lavorare. Per motivi e necessità diverse, si trovano tutte e quattro con le spalle al muro della vita, private del sostegno di un padre, di un marito lavativo o non ancora desiderato, di un figlio affidato a cure altrui perché non si riesce a mantenerlo.
Anche l’aspirazione, seppur declinata con sfaccettature diverse, è la stessa: l’indipendenza, il dimostrare quanto si vale, il riuscire a riscattarsi da una condizione di subordine lavorativo e sociale. La romana Ester vuole far passare sotto silenzio il licenziamento per causa ingiusta da quel lavoro che aveva affrancato non solo lei, ma tutto il suo povero quartiere. La toscana Caterina ambisce invece a riscattare se stessa, vuole dimostrare che una donna sola può comunque vincere le difficoltà del mondo e non solo sopravvivergli. Lucia lotta per qualcun altro, il figlio tanto amato quanto disprezzato ne è il padre, che l’ha profondamente ferita nel suo onore di donna. La calabrese Rosa agisce in nome della famiglia che ama ma della quale non vuole essere schiava come sua madre.
Quattro figure diverse tutte incarnate dalla multiforme attrice e cantante - nonché autrice - Elisabetta Tulli, che sul piccolo palco del Teatro Kopò, cambiando accessori, cambia personalità più e più volte, raccontando questa storia reale in tre fasi: il prima, il mentre e il poi. La Tulli dispiega al meglio il suo talento comico nelle caricature dei tratti distintivi di ciascuna donna, ma riesce a rendere con efficacia anche le parti più drammatiche, brevi ma intense. I momenti musicali di voce e pianoforte (quello di Andrea Calandrini, anche compositore) sono brevi intermezzi che costellano la scena narrativa diretta da Eugenio Dura, e che rappresentano l’anello un po’ più debole del progetto, non tanto a livello musicale quanto testuale.
Uno spettacolo simpatico e leggero, con un intreccio gradevole di ambiti artistici differenti. Ma le parole sarebbero probabilmente state sufficienti per il successo di questa performance di memoria collettiva, che unisce in modo divertente il ricordo storico alla riflessione sociale su una questione femminile che, ancora oggi, non ha trovato una giusta rilevanza. Perché se è vero che “non si elemosina l’amore”, tantomeno si deve essere costretti a mendicare uguaglianza e rispetto.

Visto a Roma, il 7 aprile 2016

Giulia Zanichelli 09/04/2016

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