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“Ladyoscar”: una toccante pièce per ridere e riflettere sulla tossicodipendenza e il disagio della periferia

In una casa qualunque di una qualunque periferia romana, che si fa emblema di una periferia qualunque dell’umanità, due giovani qualsiasi, un ragazzo e una ragazza, senza un nome, semplicemente Coso e Cosa, si dimenano, straparlano, bestemmiano, sognano, delirano, tra fiumi di cocaina, allucinazioni, vecchi rancori, e forse nuove amare speranze, animando il profondo “Ladyoscar“ di Ferdinando Vaselli.
Coso prepara una dose di “nuvola bianca”, mentre Cosa, smaniosa di assaporarla, lo incita, lo invita ad essere più svelto, per poi lasciarsi andare ad una sniffata comune che li rende privi di freni inibitori, liberi di viaggiare, di volare dove hanno sempre sognato di andare. Eppure sono fermi, immobili, prigionieri di una condizione disagevole che li sta lentamente logorando, privandoli di ogni forza di reagire. A muoversi, a rincorrersi, a scontrarsi rapide, con la cadenza di un ritmo sincopato, sono invece le parole, dialettali, “romanacce”, volgari, infime, che esprimono i loro odi, il loro disprezzo, e vanno a costruire i loro continui litigi, per la roba, per la gelosia, per punti di vista a volte opposti. Sono battute che strappano un sorriso sincero nascondendo una lacrima amara e il dolore per due esistenze complesse, diverse, e al contempo simili.
I due protagonisti hanno storie antitetiche, sono figli di due realtà opposte: uno borghese figlio di papà, l’altra figlia della borgata, ma ora sono identici, si esprimono allo stesso modo, si muovono allo stesso modo, sognano e bestemmiano allo stesso modo, omologati dalla potente insidia della droga. A volte le loro stesse “lingue antitetiche” non si comprendono, sfociando in insulti gratuiti, che dimostrano la loro straripante vitalità, la loro voglia di divorare la vita, di reagire, partire, inseguire e afferrare quegli aerei che vedono passare veloci nel cielo e in particolari preghiere verso Dio, al quale rivolgono un “Padre Nostro” alternativo, in cui richiedono un nuovo pane quotidiano: la cocaina, stupefacente ormai di uso comune.
Coso e Cosa sono schiavi, dipendenti di una polverina magicamente e tragicamente deleteria, privi di una qualsiasi speranza, di una qualsiasi salvezza, che potrebbe però presentarsi solo grazie a “Ladyoscar”, un figlio che forse nascerà, o forse no, che magari li cambierà, magari no.
Cullati da questa incerta speranza, dal miracolo di un futuro migliore, i due si guardano vivere, si lasciano esistere, spettatori deliranti di se stessi.
“Ladyoscar” è uno spettacolo forte, attuale, divertente e allo stesso tempo profondo, che strappa sorrisi sotto i quali si mascherano importanti denunce: il consumo dilagante della cocaina, la decadenza della società moderna, la perdita assoluta dei valori e il dominio imperante e assoluto dal dio denaro e del capitalismo.
Gli interpreti, Alessia Berardi e Riccardo Floris, sono perfettamente nella parte, riescono a rendere le impercettibili sfaccettature e la romanità di due personaggi, complessi, difficili, borderline, facendoli apparire veri, reali, sempre sinceri.
“Ladyoscar” potrebbe essere definito, dunque, semplicemente uno spettacolo verista, o meglio neorealista, che descrive una realtà difficile, ma purtroppo sempre più attuale, proponendola in maniera originale e sorprendentemente divertente.

Visto a Roma, Teatro Studio Uno

Maresa Palmacci 17/01/2016

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