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"La tragedia del vendicatore": la natura umana secondo Middleton e Donnellan

Che differenza c’è tra una corte del’600 e una qualsiasi spregiudicata famiglia di potere di oggi?
Una differenza sottile, che il regista inglese Declan Donnellan supera, dirigendo la produzione italiana de “La tragedia del vendicatore" di Thomas Middleton, in scena al Teatro Argentina fino al 3 febbraio, nella versione italiana di Stefano Massini.
Tra i personaggi, tutti “omen, nomen” di sé stessi (Vindice, Castiza, Spurio, Lussuriosa…), è proprio Vindice (Fausto Cabra) che dà impulso all’azione: è lui che, disperato ed esaltato, presenta al pubblico l’insana famiglia del Duca, che appare sul palcoscenico in un’ipocrita processione per ricevere l’eucarestia, mentre lui ne recita, come un rosario, i peccati. E mentre la famiglia si lascia andare ad un ballo convulso e ridicolo, inebriata dalla propria superficialità, Vindice afferma il suo progetto: fare vendetta per la moglie, stuprata e avvelenata dal Duca prima delle nozze.vendicatore 02 Vendetta, giustizia, morte, intrighi, temi già noti e dall’eco shakespeariana, di cui infatti Middleton fu coevo e collaboratore, ma che qui raggiungono una tensione e una vivacità più esplicita, una carica satirica, il cui scopo è coinvolgere sì il pubblico, ma anche colpire una società degradata, dove neanche chi si dichiara giusto sembra salvarsi.
Gli elementi della scenografia appaiono e scompaiono dal fondo, una parete rossa, che di volta in volta si apre e chiude, mostrando dipinti quattro-cinquecenteschi, da Mantegna a Tiziano, che accompagnano ed evocano simbolicamente ciò che accade sul palcoscenico.
Ma il dipinto più vero è quello che Donnellan realizza in scena: in particolare, l’apice della tensione e dello strazio è raggiunto al compimento della vendetta di Vindice sul Duca, una parentesi horror/splatter acuita dalla proiezione in dettaglio della scena sul fondo.
vendicatore 03E’ proprio questa la giusta ragione? Vindice, pur credendosi integro, puro, vittima, si mostra spietato quanto lo stesso carnefice. “E’ il mondo intero che ci ha dato al cervello” dice il protagonista, troppo presi da una dimensione personale, rischiamo di dimenticare che tutto inizia e finisce: fino a che punto si è disposti ad andare per appagare se stessi? Quando nel cuore regna il rancore e l’odio tutti ci sporchiamo le mani di sangue.
Menzione particolare al cast (Ivan Alovisio, Alessandro Bandini, Marco Brinzi,Martin Ilunga Chishimba, Christian Di Filippo, Raffaele Esposito, Ruggero Franceschini, Pia Lanciotti, Errico Liguori, Marta Malvestiti, David Meden, Massimiliano Speziani, Beatrice Vecchione) attori brillanti, intensi, ironici al punto giusto, interpreti fedeli della temperatura umana; quando alla fine li vediamo nuovamente ballare sul palco, con una musica (di Gianluca Misiti) che entra nella testa, quasi ci si vorrebbe unire a loro, nella consapevolezza che tutti siamo mossi dalle stesse pulsioni e che quella tragedia è un po’ anche la nostra, negata, nascosta, inevitabile.
Donnellan fa scoprire al pubblico un autore dimenticato, cui è stata negata a lungo persino la paternità del testo. A illuminare il profilo del drammaturgo inglese è Daniela Guardamagna, docente di letteratura inglese presso l’Università Tor Vergata e autrice del libro “Thomas Middleton, drammaturgo giacomiano. Il canone ritrovato”, durante l’incontro tenutosi ieri nella Sala Squarzina del Teatro Argentina, a cui hanno preso parte anche gli attori della compagnia: un bel momento di riflessione non solo sullo spettacolo ma sul teatro in sé.
E’ solo nel 2007 che “La tragedia del vendicatore” è attribuita a Middleton, tant’è che negli anni ’70 persino Luca Ronconi portò in scena il testo, riferendolo però a Cyril Tourneur.
“The other Shakespeare”, così come è stato definito, è venuto alla luce non facilmente ma la sua scrittura è stata in grado di attraversare il tempo e di parlare ancora oggi perché, del resto, Middleton parla dell’uomo, un uomo deformato, avvilito e lo fa in modo cattivo, tranchant. Gli attori hanno confermato il lavoro di indagine sull’uomo e, in particolare, sull’auto-rappresentazione di sé stessi, sulla coscienza di essere molteplici, banale a dirsi, ma che forse proprio il teatro ci aiuta meglio a comprendere.

Noemi Riccitelli 29/01/2019

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