È il racconto emozionante di chi ha vissuto sulla propria pelle la Grande Guerra, di chi ha visto con i suoi occhi la distruzione, di chi ha avuto l’anima sopraffatta dal terrore della morte, La Paura, intenso spettacolo diretto da Francesco Bonomo, in scena al Teatro Argot.
Protagonista assoluto è il Tenente Alfani, il quale in seguito ad un grave trauma subito al fronte , è ormai incapace di vivere serenamente la sua esistenza. Si ritrova in una sorta di limbo, di luogo oscuro della mente, in quello che si ipotizza un manicomio, vittima dei suoi atroci ricordi. Non riesce a dormire, è preso d’assalto dagli incubi, dal rumore dei colpi di fucile che gli risuonano nelle orecchie, dal bianco della neve che conduce alla porta di ghiaccio dell’inferno, e riversa sul pubblico, come un fiume in piena, il suo punto di vista su quel conflitto vissuto strisciando tra i cunicoli delle trincee che prendono corpo in scena, formate dalle brandine di quell’Ospedale, e con esse la disperazione, gli stai d’animo e i tormenti dei poveri soldati trattati come carne da macello, vittime sacrificali da immolare per la patria.
La sua voce, diventa così la voce di tanti, dell’intero plotone di cui gestiva la turnazione, passando vorticosamente dalla prima alla terza persona. Un flusso sconfinato di pensieri che illustrano e rendono tangibile la paura immensa della morte che incombeva e portava alla viltà, a voler fuggire, oppure a impazzire. Sul Fronte di Corbin, tra le cime e le alture dei monti su tutto domina il candore simbolo del lutto, del buio, della fine.
Il testo di De Roberto, riadattato con dovizia di particolari da Francesco Bonomo, colpisce dritto al cuore dei pensieri, facendoci riflettere sulle atrocità di un conflitto spesso sottovalutato, sulle vessazioni soprattutto psicologiche che la guerra comporta e ha comportato. Un monologo potente e polifonico, espressione di tante voci e di tanti dialetti che si vanno ad amalgamare al suono di un unico grido di aiuto.
Daniel Dwerryhouse, solo in scena, dà vita ad un’interpretazione toccante e impeccabile, riuscendo e trasmettere l’umanità e la disperazione che si annidava nella mente del protagonista e il senso di colpa di uno dei “momenti più strazianti per ogni soldato di ogni guerra: obbedire ad un ordine sbagliato”. Si muove tra le trincee, solleva pesanti fardelli dell’anima, imbraccia fucili, spara, impartisce ordini, li rifiuta. E’ uno ed è tanti, è semplicemente l’immagine di un soldato che con la guerra ha perso ogni cosa, che vorrebbe dimenticare, vorrebbe solo dormire. La drammaticità dei pensieri e dei momenti appare comunque sempre raffinata grazie alla regia sapiente, colta e accurata di Bonomo, che dimostra uno studio meticoloso sul testo, sulla lingua, sul tempo e su quella pagina di storia, facendo di questo spettacolo un viaggio forte, incisivo ed emozionante nelle menti di chi l’ha vissuta. Una testimonianza per il presente e il futuro, un invito a non dimenticare e non perdersi nell’oblio del bianco.
Maresa Palmacci 19-05-2018