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Ad Arsoli Giulia Trippetta è "La moglie perfetta"

ARSOLI – Ci vuole sensibilità, intelligenza e tatto artistico per poter parlare di temi caldi, purtroppo ancora contemporanei, come la questione della donna all'interno della società attuale occidentale. Con il lavoro “La moglie perfetta”, Giulia Trippetta, partendo da un reale decalogo, un volantino che veniva distribuito nel dopoguerra, è riuscita a creare un parallelo, tra parodia e profondità d'indagine, con ironia e in maniera diretta, tra gli anni '50 (favolosi fino ad un certo punto) e questi primi decenni del Terzo Millennio. Sembra che sia cambiata la facciata e la forma, nella sostanza poco. Avevamo visto dieci minuti di questo spettacolo all'interno Gloria-Sapio-e-Maurizio-Repetto-e1466842986182.jpgdel “Premio Giovani Realtà”, a dicembre scorso, dell'Accademia Nico Pepe di Udine dove l'attrice umbra (nei prossimi mesi sarà in scena nella ripresa di “Orgoglio e pregiudizio” di Arturo Cirillo, a cura di Marche Teatro) aveva vinto la Residenza Artistica all'interno del Teatro La Fenice di Arsoli (al confine tra la provincia di Roma e l'Abruzzo) diretta da Gloria Sapio e Maurizio Repetto fondatori della compagnia Settimo Cielo. Qui, per due settimane, l'attrice, che ha studiato all'Accademia Silvio D'Amico di Roma, ha affinato il testo creando una messinscena solida, d'impatto, che mai scade, che fa riflettere, che pone domande, che mette in discussione sia le donne che gli uomini, che non ci lascia comodi sulle poltroncine del teatro, che pungola ognuno nel suo privato.

gabriele-caucci-sindaco-arsoli-al-teatro-la-fenice.jpgQuesta residenza fa parte di un progetto più ampio della Regione Lazio, composto appunto da Settimo Cielo con Twain, Vera Stasi e Ondadurto Teatro, e che interessa sette spazi teatrali. Le residenze sono fondamentali per far crescere le piece, per far lavorare le giovani compagnie a fianco di tecnici e professionisti della scena, per provare le parole e i gesti sul palco e tastarne e testarne la validità nella restituzione con il territorio: il rapporto con il palcoscenico è essenziale e necessario, qui la drammaturgia respira e prende corpo e oggi sempre meno gruppi riescono ad avere spazi per poter provare, immaginare, realizzare le loro idee. I Settimo Cielo inoltre dirigono anche un interessante festival, “Portraits on stage”, quest'anno tra settembre e ottobre, realizzato in un luogo magico, il santuario di Ercole vincitore a Tivoli.

Tra questo verde abbondante, tra queste salite e colline dove i paesi stanno arroccati e un castello spunta sempre con i suoi merli a tratteggiare il panorama, a ricordarci che qui la Storia è pesante come pietre, squadrata come torri, possente come ponti levatoi, Arsoli, (per accedere alla sala teatrale si entra dal Municipio) con i suoi 1500 abitanti, annusa l'Aniene che taglia la zona tra Ciociaria da una parte e Sabina dall'altra. Siamo anche vicini al confine con l'Abruzzo, incerti se scegliere la carbonara di tradizione romana o l'arrosticino di matrice aquilana e dintorni. Vicino ad Arsoli, sorge il curioso caso di Anticoli Corrado (900 abitanti) paese di pittori e modelle: nell'Ottocento contadini ma soprattutto contadine del posto andavano a vendere la loro frutta e verdura a Roma al mercato di Campo dei Fiori. Lì i pittori abbondavano e li ritraevano mentre mettevano a posto la mercanzia, intenti a lavorare con i muscoli guizzanti. Quando si sparse la voce che questi ragazzi provenivano tutti da questo piccolo comune (qui nel tempo si erano mischiati gli Svevi con i soldati Mori, e l'andare alle fonti per svariate volte al giorno in discesa e in salita rendeva i loro corpi tonici ed atletici e le sorgenti sulfuree terapeutiche levigavano la loro pelle) gli artisti cominciarono d'estate a soggiornare ad Anticoli. Anche perché qui le ragazze non avevano nessun problema a farsi ritrarre nude. Si era così creata una comunità di pittori e artisti e intellettuali, un vero Arsoli-_-testata.jpge proprio circolo, da Fausto Pirandello, figlio di Luigi (qui sorge la Villa La Scalogna, fondale de “I giganti della montagna”) a Oskar Kokoschka, il poeta Rafael Alberti, lo scultore Arturo Martini e Caporossi e Selva, Gaudenzi e Ponzi. Passarono di qui anche Picasso o Neruda. In tutto c'erano 65 studi pittorici anche per via di una particolare luce, perfetta per dipingere, mai così diretta. Rimangono a testimonianza i grandi finestroni che ogni tanto si scorgono alzando gli occhi a ricordarci quegli anni.

Tra le tante opere d'arte ci ha colpito anche il decalogo de “La moglie perfetta” dove, con sarcasmo pungente, Giulia Trippetta, sua la drammaturgia, è riuscita ad arrivare in profondità e toccare corde nascoste, smuovere preconcetti dati per scontato, scardinare comportamenti “naturali” e spontanei che arrivano come bagaglio culturale da retaggi secolari direttamente fino a noi. Partendo da questo volantino realmente circolato per decenni in Europa, l'attrice ha costruito un incastro e un meccanismo di personaggi femminili sconfitti, a tratti esilaranti, ora commoventi, sempre amari e amareggiati, miscelando alcune interviste con la figura cardine dell'intera piece, questa donna intenta ad instradare le giovani future mogli verso la loro missione, la loro gabbia neanche così dorata, la loro costrizione, il loro ruolo scritto e immutabile. Siamo negli anni '50 e la tesi di fondo è che, purtroppo, non molto sia cambiato, a distanza di settanta anni, per quanto riguarda la condizione femminile nonostante le tante battaglie vinte e i tanti traguardi per la parità raggiunti.

Ben scritto, cadenzato, fluido, (il jingle che ritorna, quello de “Il pranzo è servito”, è una nenia casalinga consolatoria, tranquillizzante e inquietante come le quattro mura che affossano, atterriscono, chiudono come recinti) leggero come una carezza e ruvido come uno schiaffo all'improvviso, la Trippetta adesso è timida ora è sfrontata, desperate housewife consapevolmente lucida, ha in sé il trasformismo unnamed.jpgdi Virginia Raffaele e l'elasticità da caratterista di Paola Cortellesi (a tratti è una Verdone al femminile), una presenza tra Valentina Lodovini e Monica Bellucci, la verve di Sabina Guzzanti, l'impatto di Nancy Brilli, lo sprint della Marchesini, lo sguardo a metà tra Jasmine Trinca e la Kathleen Turner ne “La Guerra dei Roses”, ora Sora Lella adesso Sabrina Ferilli.

Chiama le sue adepte frustrate “giovani costole d'Adamo” e lo sciorinamento delle regole è talmente divertente da risultare preoccupante: “Sii bella”: “la storia della bellezza interiore è stata inventata dai brutti”. Si ride, come in uno specchio che riflette le nefandezze della nostra società che inevitabilmente ci sono rimaste appiccicate addosso. “La cucina” e “Sii dolce e comprensiva” fino a tutte le sfumature dei vari tipi di risata, capitoli dove ci si sente in colpa di aver riso ma non se ne può fare a meno. Ci si sente piccoli e miseri, impotenti e meschini. Si arriva alla violenza di genere che fa ancora più male perché raccontata con un sorriso beffardo, giustificatorio: “Parlare è importante, parlate ma zitte”. Una delle parti più up è “Le sentinelle del Patriarcato” dove la Trippetta dà sfogo alla sua gamma di qualità, al suo registro di voci e personaggi in un cortocircuito scoppiettante, frizzante, effervescente, spumeggiante: è elettrica, è imprendibile, unstoppable. Viene anche coinvolto il pubblico, perché, come diceva Martin Luther King “Non mi preoccupo della cattiveria dei malvagi ma del silenzio degli onesti”. Siamo tutti sul banco degli imputati. In questo caso, una risata non ci salverà.

Tommaso Chimenti 28/09/2020