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La memoria come cura del disagio in “O taccia per sempre” al Fringe Festival

Regia: Pamela Sabatini
Interpreti: Pamela Sabatini, Valeria Bianchi
Aiuto regia: Valeria Bianchi
Drammaturgia: Pamela Sabatini
Compagnia: Pamela Sabatini - Associazione Teatro Forsennato
Genere: narrazione sperimentale


C’erano una volta una bambina e la sua nonna. C’è oggi Pamela (la stessa Pamela Sabatini) e la sua compagna che le fa da spalla in questo viaggio autobiografico alla ricerca di se stessa, un gioco di ruoli per cui l’una talvolta assume l’identità dell’altra. Le attrici sulla scena, allestita senza fronzoli, prendono per mano lo spettatore conducendolo in un percorso di fantasia e sogno, ma sempre permeato da un profondo senso della realtà. Anzitutto il forte marchio della Calabria con le melodie di tamburo e organetto che accompagnano antiche filastrocche, danze, storie accadute o solo immaginate, in ogni caso patrimonio culturale di un popolo che pare aver perso la sua memoria. Ed è proprio la ricerca di quest’ultima il fulcro dello spettacolo: ritrovarla per lenire le proprie inquietudini, il malessere del presente. La ragazzina di un tempo intervista le figure femminili della sua famiglia, poi uno scatto improvviso all’interno della pièce: l’introduzione di “Cheperocchio”, la bambina che nella fiaba perse la vista e con essa anche i ricordi poiché convinta dalla madre dell’inutilità di osservare i dettagli. Solo il recupero della sua memoria l’avrebbe guarita, disse il Robot magnetico da cui fu portata. Cheperocchio inizia così a richiamare alla mente gli eventi del passato, come fossero lunghi fili da riarrotoloare.
Il messaggio è chiaro e più che convincente: il tempo scorre, la nostra memoria si affievolisce a poco a poco e tutti quei volti, le sensazioni e le voci di epoche antiche perdono definizione allontanandosi dalla nostra mente come in un deficit progressivo della vista. E rimembrando ci si ritrova. Ecco allora il valore di aneddoti, favole, fughe d’amore, tragedie ma anche gioie inattese, tutte intrecciate fra loro per rendere sulla scena gli imprevedibili e contorti sentieri seguiti dalla psiche umana. Le interpreti si servono di questi, pur con qualche leggero inciampo nelle parole probabilmente dovuto all’emozione, ma sempre con la forza di indurre il pubblico a riflettere e sì, anche di riportarlo nel suo passato per guardare all’attualità.
Commovente il finale in cui Pamela dice alla nonna “Ho perso gli occhi di un tempo, non so più guardare come una volta” e lei le risponde “Come li hai persi? Gli occhi non si possono perdere”, così la protagonista conclude “Hai ragione nonna, li ho ritrovati, gli occhi non si perdono mai”.

Nicolò Vignati 16/06/2015

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