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La Confessione (di un prete gay) in scena all'Off/Off Theatre: l'amore sacro e l'amor profano

Iconografie sacre appese alle pareti, appese come fossero poster e ritagli di giornale di famose popstar in una qualsiasi cameretta di un qualsiasi adolescente; indumenti abbandonati sul pavimento, un tavolo che funge da letto, pochi altri elementi in vista, tra cui una sedia ed una poltrona, compongono lo scenario che si presenta sul palcoscenico dell'OFF/OFF THEATRE dal 23 al 28 ottobre 2018. lo spettacolo in questione è La Confessione, diretto ed interpretato da Alfredo Traversa, il quale, con estrema onestà, si racconta nei panni di un prete omosessuale.prete
La messa in scena è l'adattamento teatrale del romanzo di Marco Politi, un racconto a tinte forti che sviscera il delicato confine tra amore sacro e amore carnale, amore verso Dio e amore verso un altro essere vivente, Eros e Agape. I due termini nascono al principio proprio per distinguere l'amore pagano (Eros) e l'amore cristiano disinteressato, non sessuale (Agape). Traversa tratteggia i primi minuti di spettacolo portando il pubblico a galleggiare tra sensazioni agonizzanti sulle note di una solenne musica classica che, dopotutto, incornicia l'uomo sdraiato sul tavolo semi svestito in preda a convulsioni e movimenti dubbi; non si intuisce nell'immediato se si tratti di sofferenza o piacere. Le piaghe visibili nell'anima dell'uomo incominciano a strabordare attraverso la parola, come fosse una necessità di confessione appunto, un'urgenza. Un prete confessa i propri peccati, racconta l'infinita battaglia interiore tra una vocazione arrivata in tenera età, e una crescita che porta con sé l'amore e l'attrazione fisica, il sesso, un peccato che non potrebbe commettersi in vesti sacre. Ma il vero nodo da sciogliere resta uno, ovvero quanto sia naturale privare un uomo della propria fisicità in nome di Dio, a maggior ragione se questa fisicità ha il bisogno di esprimersi verso qualcuno del proprio stesso sesso. Difatti Traversa oppone la sua gestualità curata nei dettagli, a frangenti di sacre scritture pronunciate in differenti dialetti, oppone il suo corpo semi nudo in quasi tutto lo spettacolo, alle vesti da prete che indossa e mai del tutto, evitando accuratamente di legare il colletto bianco, forse proprio per quel senso di oppressione che ne determina automaticamente. La città Eterna, Roma, simbolo per eccellenza di una profonda spaccatura contenente sacro e profano, paganità e cristianità, sessualità e divinità, diviene lo sfondo necessario per ascoltare il racconto dettagliato del prete, il quale non risparmia particolari necessari alla profonda comprensione di una sofferenza umana rinnegata dalla chiesa come fosse una sofferenza demoniaca. Ma la verità è che, bypassando ogni pregiudizio ed ogni pre concezione bigotta, ci ritroviamo dinnanzi ad un uomo in carne ed ossa, bisognoso di perdono, di pace, una pace che, a causa delle vesti sacre, non può raggiungere in via del tutto paradossale. Arriva la scomunica, la sospensione dell'ordine religioso, forse quasi un sospiro di sollievo, e poi di nuovo giù negli abissi di ciò che può sembrare peccato ma che forse è solo la più chiara manifestazione dell'istinto e della propria natura che, se soppressa, diviene dolore fisico, mentale, una spina acuminata nel fianco. Traslando l'attenzione dal fattore omosessuale al concetto generico che viene di per sé trasportato in tutto lo spettacolo, si concentra il focus sulla costrizione di non dover amare altro se non Dio, la rinuncia al corpo in nome dello spirito, l'auto punizione totalizzante nei confronti della propria persona. Di qui si può chiaramente sommare l'omosessualità, considerata tutt'oggi dalla chiesa una malattia da debellare, pericolosa, contagiosa. Quindi non si può amare un altro corpo, meno che meno un altro corpo dello stesso sesso, e di qui il prete cerca l'espiazione, inciampa ancora: una bacinella posta sul palco e una lavanda del corpo divengono simbolo della purificazione forse, del tentativo vano di lavar via il proprio malessere, il bisogno di dimenticare le esperienze sessuali per ristabilire la propria identità. Ma un prete non è un anima senza corpo, due polmoni, un fegato, un istinto, un impulso sessuale che preme, un prete è, prima di tutto, un essere vivente. Il tema del peccato ricorre fitto durante i quarantacinque minuti o poco più in cui si susseguono ricordi lontani di un'infanzia vissuta in una normale famiglia, il seminario, i primi momenti di titubanza, crisi e incertezze che si infittiscono sempre più per poi lasciar spazio ad un finale già scritto: un coltello stretto tra le dita, il bisogno di eliminarlo quel corpo sofferente, la causa e la soluzione.
Traversa trascina lo spettatore a guardare da un altro punto di vista ciò che, solitamente, viene dato per buono, per scontato, per ovvio. Ci trasporta nella sofferenza non di un prete, non di un santo, ma di un uomo, come tutti noi.

Giorgia Groccia
26/10/2018

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