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"La Classe" insegna che il gioco di squadra può salvare

ROMA – “La scuola non è riempire un secchio, ma accendere un incendio” (William Butler Yeats).
La scuola forma e trasforma, la scuola ci cambia e ci rimane appiccicata addosso, la scuola è la porta verso il mondo adulto, la scuola è trauma o scoperta. A scuola impariamo i ruoli, le regole e il loro rispetto, l'autorità, lo studio e l'imparare ma anche le relazioni con i coetanei, le liti, le fazioni, gli amori, le amicizie che durano una vita. A scuola cresciamo, volenti o nolenti, non passiamo soltanto del tempo, diventiamo persone, ci appassioniamo, diventa il fulcro e il cardine delle giornate, le ansie e il sapere come affrontarle. Per questo la scuola rimane negli incubi e anche nei lucciconi delle foto di classe o nei ricordi delle gite scolastiche: “ditemi, chi non si è mai innamorato di quella del primo banco, la più carina, la più cretina, cretino tu, che rideva sempre”, il primo magico Venditti ben fotografava quella sensazione sia in “Compagno di scuola” che in “Notte prima degli esami”, quello scoramento, quel trambusto tra libri ed ormoni, quel subbuglio esistenziale che la scuola connetteva, rimetteva in circolo, tentava di canalizzare cercando di aprire il pensiero, la mente, imparando a gestire emozioni e parole.La Classe foto gruppo.jpg

E “La classe” è l'iconico pezzo teatrale di Kantor come l'omonimo titolo di Fabiana Iacozzilli ma anche il recente di Nanni Garella. I Pink Floyd in “Another La-Classe-3-ok-Paolotti-Casadio-ph-Federico-Riva.jpgbrick in the wall” ipotizzavano la distruzione delle classi mentre deve aver avuto qualche problemino Caparezza: “Una classe di classici figli di, ho dubbi amletici tipici dei 16, essere o non essere patetici? Eh si, ho gli occhiali spessi, vedessi, amici che spesso mi chiamano Nessy, indefessi mi pressano come uno stencil, Bud Spencer e Terence Hill repressi”. E poi c'era “La scuola” di Daniele Luchetti, prima a teatro e poi sul grande schermo sempre con Silvio Orlando nei panni del professore. Ma anche Pinocchio parlava di scuola, così come “Io speriamo che me la cavo” e certamente non possiamo non citare “L'attimo fuggente” di poesia e brividi.

Ma i riferimenti che più crediamo si possano si avvicinare a questo “La Classe”, scritto da Vincenzo Manna, ormai un cult da diverse stagioni su piazza, per la regia di Giuseppe Marini e la coproduzione tra Società per Attori, Accademia Perduta e GoldenArt, possiamo trovarli in “Nemico di classe” di Nigel Williams (un'importante edizione fu quella che lanciò Gabriele Salvatores), e nelle pellicole “La classe” di François Bégaudeau, palma d'oro a Cannes nel 2008 e “L'Onda” di Dennis Gansel e in qualche modo anche il nostrano “Il rosso e il blu” (come i colori degli errori più o meno gravi da sottolineare) di Giuseppe Piccioni. Senza dimenticare due opere a firma di Stefano Massini: a teatro “L'ora di ricevimento”, al cinema “La prima pietra”.La-Classe-Andrea-Paolotti-Federico-Le-Pera-Claudio-Casadio_-ph-Tommaso-Le-Pera-scaled.jpg

Un professore e un manipolo di studenti “difficili” in un quartiere di frontiera oggetto di forte immigrazione e di tensioni razziali. Gli ingredienti per far saltare il banco ci sono tutti. Siamo dentro ad una polveriera con un cerino acceso in mano, siamo di fronte ad una pentola a pressione che singhiozza e sbuffa. La scuola, e questa classe particolare, come cartina di tornasole per quello che accade fuori, le tensioni sociali tra gli ultimi, la guerriglia quotidiana tra i ceti più poveri. In questa classe i ragazzi con delle insufficienze devono seguire dei corsi di recupero per poter essere promossi; ma sono bulli e arroganti, presuntuosi e provocatori, offensivi e altezzosi, non vogliono imparare niente ma solo avere il pezzo di carta finale per poi “fare quello che voglio”. L'evocativa scena, di Alessandro Chiti, dove a lavagna e cattedra e banchi e sedie, l'idea semplice ma geniale di un pavimento costellato da distese di fogli di carta strappati dai libri, la cultura calpestata, ben si sposa e si esalta grazie alle luci, di Javier Delle Monache, cangianti come sentimenti (e le musiche a timbrare i momenti di Paolo Coletta) che intessono il dramma che monta, riflettono gli umori che guerreggiano e cozzano sul campo di battaglia dell'aula.

Un La Classe - Casadio, Monno, Frullini, Marino, Paoletti.jpggiovane professore molto volenteroso, ancora vergine del sistema e ingenuo, (Andrea Paolotti robusto, ha polso e ben si muove tra le pieghe del testo) e un preside più scafato e disilluso (Claudio Casadio sempre presente, capace con quella sua imperturbabilità candida e quell'incedere autorevole anche in mezzo ai marosi) sono la parte civile e istituzionale della scuola con la quale i ragazzi focosi si scaldano e si accapigliano. Gli studenti sono rabbiosi, hanno alle spalle storie familiari devastate, solitudine, povertà, miseria, abbandono. La scuola però è anche un'ancora di salvezza, che i ragazzi non riconoscono fino in fondo però, rispetto allo “Zoo” (a Calais c'era la “Jungle”, a quella fa riferimento la drammaturgia) uno spazio franco dove sono ammassate migliaia di immigrati irregolari. La guerra dialettica che si scatena è tra i figli dei nullatenenti, marocchini, zingari, e i nuovi poveri ancora più agguerriti ed affamati. Il professore tenta con tutte le carte che ha a disposizione ad interessare i ragazzi non tanto allo studio quanto all'ascolto, all'apprendimento, all'impegno, alla passione per il gruppo e per i progetti collettivi. Ognuno dei ragazzi è fragile e solo e azzannano soltanto perché non sanno che gusto possono avere le carezze, e aggrediscono perché non sono mai stati abbracciati e urlano perché nessuno li ha mai ascoltati, non vogliono responsabilità perché non hanno autostima e quindi hanno paura di fallire anche se non lo ammetteranno mai. Il professore riuscirà nel suo intento, immettendo il germe che con l'impegno e unendo le forze si possono raggiungere dei risultati e delle soddisfazioni, riuscendo, forse, a salvarne qualcuno mentre qualcun altro rimarrà irriducibile e sarà la strada che gli darà lezioni ben peggiori di un compito o di una interrogazione. Tra le note leggermente non così accordate, la grande consapevolezza e il lessico dei ragazzi, soprattutto nella seconda trance dello spettacolo, studenti non proprio modello ma che dimostrano proprietà di linguaggio ai limiti del forbito, e la troppa carne al fuoco immessa nell'agorà: la scuola, l'immigrazione, fino all'Olocausto e allo stupro.

“Colui che apre una porta di una scuola, chiude una prigione” (Victor Hugo).

Tommaso Chimenti 28/04/2022

Foto di scena: Federico Riva e Tommaso Le Pera

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