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La casa degli sguardi: Lino Guanciale porta in scena il coraggio di rinascere

“Non ricordo nulla, è la frase che mi ripeto tutte le mattine” esordisce Lino Guanciale sul palco della Sala Frau a Spoleto. Qui, il 7 luglio, durante il Festival dei 2 mondi l’attore ha esordito ne “La Casa degli Sguardi” con la regia di Lorenzo Collalti, riadattamento teatrale dell’omonimo romanzo autobiografico di Daniele Mencarelli.
Non ricorda nulla Daniele perché è assorbito da un vuoto esistenziale che lo spinge a bere e a dipendere dall’alcol, crogiolandosi in una stasi autodistruttiva. Nemmeno la scrittura sembra poterlo salvare in qualche modo, lui che è scrittore e poeta. “La poesia lo testimonia il dolore, mica lo cura”. Rifiuta ogni sovrastruttura pre imposta, portando avanti una personalissima ribellione contro gli schemi della società ai quali è consapevole di non poter sottostare. Un harakiri che mette in atto senza alcuna remora, ormai rassegnato alla dimenticanza, perché l’unica cura è dimenticarsi di tutto.

Assistono impotenti a questo lento disfacimento i genitori ed è proprio per loro che Daniele si butta nel lavoro, firmando un contratto con una cooperativa legata all’ospedale pediatrico di Roma Bambino Gesù.
Qui si scontra con l’ineluttabilità della morte che arriva senza troppi preamboli e senza preavviso, lasciando una vuotezza che per Daniele può essere riempita solo con il vino. Ha senso vivere, stringere dei legami, magari arrivare persino ad amare, costruire se poi tutto sembra destinato a confluire nell’unico comun denominatore possibile, la sofferenza?
Lavorare sotto gli sguardi di bambini malati, devastati dalla malattia, circondato dalle voci e dalle lacrime dei loro genitori, dà a Daniele un inedito punto di contatto con la realtà al quale si aggrappa, incominciando più o meno consapevolmente un difficile e doloroso processo di riscoperta e rinascita. “È bello vedere le cose rinascere”.
Ma per rinascere, per vivere è indispensabile avere coraggio e affrontare tutto, incluso il proprio vuoto interiore, con gli occhi ben aperti. Per buona parte della sua vita Daniele scappa, si copre il viso, arriva a rendersi inaccessibile all’intero spettro delle emozioni umane, rassicurato dal non sentire niente se non il caldo abbraccio del vino bianco. Grazie ai suoi colleghi e a squarci di quotidianità in cui la leggerezza si mescola alla crudeltà del vissuto, smette di rifuggire l’umanità che è fuori e dentro di lui. 
Con un linguaggio semplice, ora ironico ora disincantato ma intriso di poesia, Lino Guanciale riesce a scagliare il pubblico in un burrascoso viaggio emotivo che difficilmente lascia impassibili, sottolineando il bisogno - e il dovere - che abbiamo di immettere bellezza nel mondo. Anche solo per ricordare a sé stessi di essere ancora umani, di essere ancora vivi.


Giulia Mirimich
08/07/2019

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