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L’Inside Out di un quarantenne, ovvero: “Quella strana parte di me”, al Teatro dei Conciatori

Mio papà, tentando inutilmente di confortarmi, mi disse che mio nonno tifava Lazio solo perché aveva conosciuto un giorno un romanista antipatico. Non ho mai saputo se questa fosse la verità, o non ho mai voluto ammettere che non lo fosse, ma preferisco pensare che chi ha scritto il volantino promozionale di “Quella strana parte di me” – in scena questi giorni al Teatro dei Conciatori – abbia conosciuto una ventenne antipatica e su quella abbia deciso che la protagonista femminile doveva diventare il simbolo di un’intera generazione. Caratterizzata da «superficialità affettiva e comportamentale di molti ventenni di oggi, divisi tra un sesso generico e la freddezza del loro egoismo» e inquadrata come «ragazza dei suoi tempi: simpatica ma superficiale, ancora priva di un obiettivo di vita, che affida alla casualità (anche sessuale) tutto il suo essere, senza alcun impegno», chi è allora il baluardo di questa generazione di ventenni debosciati, laidi e senza cuore? Si tratta di Lina (Beatrice Messa) detta Linetta, più inetta che ninfetta. Lina ha infatti 22 anni, un serio problema di sudorazione alle mani e nessun interesse. Rimanda i problemi a un imprecisato futuro, non fa progetti e si lascia viziare dai genitori.
Linetta inoltre usa il termine “spacca”, l’espressione “in internet”, ascolta musica pop sdraiata sul pavimento dondolando le gambe e registra le sue turbe amorose su un diario rosa. È praticamente Lizzie McGuire vista dagli sceneggiatori di “Don Matteo”, ma assolve perfettamente al suo compito: fare del suo vuoto interiore un’arma di distruzione a largo raggio.
Sua vittima designata è Andrea (Patrizio Cigliano, anche autore e regista) 40 anni, crea applicazioni per smartphone, è sposato da undici anni e da ben cinque non ha avventure extraconiugali con ragazze più giovani. La moglie (Barbara Begala) vorrebbe un figlio, ma lui non è pronto né a diventare padre né a dover dire ad alta voce di non volerlo essere mai. Su Andrea però, l’autore del volantino è stato più generoso: non porta sulle spalle la responsabilità di rappresentare tutti gli uomini di mezz’età d’Italia, né è affetto da superficialità affettiva o comportamentale, più semplicemente ha un «temperamento giovanile che sfiora la sindrome di Peter Pan». E infatti inizia subito una relazione con la giovane stagista, Linetta.
La storia, però, è qualcosa in più di un banale triangolo amoroso. A osservare il precipitare degli eventi c’è una parte di Andrea (Veronica Milaneschi), una parte “strana” sì, ma anche razionale e avveduta. Un grillo parlante meno saccente e più emotivamente coinvolto che, tra un battibecco e una seduta di autoanalisi, tenta di limitare i danni di una situazione già compromessa.
Saggiamente, il ritmo della narrazione sa essere rapido – con qualche piccolo accorgimento sonoro che ricorda le transizioni di scena dei telefilm – ma anche prendersi il suo tempo nei momenti più intensi, dove la scrittura tenta di andare un po’ più a fondo; qui comicità e amarezza s’inseguono e, spesso, si fondono. Ad completare la vicenda, una riuscita scenografia mai invasiva, anzi, sottilmente didascalica e perfettamente in dialogo con i costumi. C’è consapevolezza e lucidità negli attori sulla scena e il pubblico è sempre coinvolto, con tanto di risate, acclamazioni spontanee e qualche brontolio d’indignazione verso le dissennate scelte dei protagonisti.
Il finale, coerentemente aspro, riscuote gran consenso. Meritato certo, ma viene il dubbio che il pubblico – più dalle parti della “sindrome di Peter Pan” che non dei “ventenni di oggi” – applaudendo, si autoassolva.

Eliana Rizzi 20/03/2016

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