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L’amore tra il pop e il noir: “Plouf!” di Mitridate Minovi al Teatro Sala Uno

Tutti amiamo essere amati. Ma è legittimo pensare di fare di tutto pur di ottenere l’amore di colui o colei che desideriamo?
È quello che succede a Casper protagonista del dramma d’amore post-moderno raccontato nello spettacolo “Plouf!”, andato in scena al Teatro Sala Uno.
Tra la noia esistenziale della giovane generazione di oggi e il disagio reale creato dalla solitudine dell’essere umano odierno, un classico e banale triangolo amoroso detta il filo del discorso. È la storia di Casper, Penelope ed Harry, un pupazzo dalla testa gigante.
Il titolo dal suono onomatopeico “Plouf” preannuncia il dramma reale del protagonista, del quale ogni impresa finisce con un sordo tonfo nell’oceano della non considerazione. Un eterno sfigato, un “amabile” sfigato, come lo definisce Penelope, che fallisce in ogni tentativo di impresa eroica o anche solamente quotidiana. Casper rimane sempre in ombra dell’affabile pupazzo Harry, anche nelle attenzioni di Penelope. Di fronte all’impossibilità di avere il vero amore della ragazza per sé, Harry le propone di uccidere qualcuno per suggellare la loro unione con un segreto inconfessabile che renda la relazione e la vita stessa più “piccante” grazie al retrogusto pericoloso ma affascinante dell’elemento noir. Come volevasi dimostrare l’evento funesto rafforza e alimenta la passione tra i due, ma non si risolve completamente come un “happy ending”. Parallelamente il terzo personaggio, Harry, svela le proprie debolezze e difficoltà nell’essere avvicinato poiché “figo” ma realmente mai amato.
L’atmosfera noir dona a questa storia post-moderna, condita dal ritmo sincopato delle nuance fluo delle luci, un’estetica quasi pop-fumettistica.
Se l’intento era quello di rappresentare personaggi come archetipi universali che esprimessero l’uomo nei suoi disagi e paure moderne, forse il rischio di una costruzione troppo variegata e poco definita ha inciso sul livello di coinvolgimento dello spettatore. Si sorride è vero, ma le espressioni verbali e corporee forse sono troppo stereotipate e superficiali e non lasciano che i personaggi instaurino quel rapporto di prossimità e vicinanza fondamentale per incidere anche nella post visione.
Molto accattivante e forse non sfruttata a pieno è la presenza dell’arpa suonata dal vivo da Chiara Marchetti, che rientra in quell’atmosfera un po’ pop, un po’ romantica, un po’ fumettistica e un po’ noir abbozzata dallo spettacolo. C’è un po’ di tutto in “Plouf!” e forse questo, più che un punto di forza, risulta un elemento di dispersione drammaturgica.

Gertrude Cestiè 16/04/2016

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