Grazie alla compagnia APPERCEZIONI il 10 marzo 2023 ha preso il via “Indeterminazioni Poetiche”, la prima tappa della manifestazione Spores intitolata “XP-PX = iħ Indeterminazioni”, vincitrice di Europa Creativa 2022 e ispirata alla fisica quantistica di Werner Heisenberg. Le forme si aprono, il sistema trabocca. Si parla di indeterminazione, di intermedialità e di intersezionalità. Le dimensioni si moltiplicano, in maniera che diventa più difficile capire - o scegliere - in che mondo ci troviamo. Perché scegliere? Scegliere il caos è possibile? È augurabile? Quante domande poste dalla performance Spores. Questo è il metaverso, con l’attrice Maria Letizia Gorga che porta il pubblico a scoprire la creazione di un “altro cosmo” dove rifugiarsi: quello della poesia.
L’ideatrice e direttrice artistica è Federica Altieri, regista teatrale fortemente interessata all'interazione tra le diverse arti. Con lei sono coinvolti lo sperimentatore di nuove tecnologie Roberto Carraro e la creatrice di Habitat Flavia Mastrella, oltre ad altri grandi nomi dell’arte contemporanea come Eugenio Barba, Antonio Rezza, Maria Letizia Gorga, i giovani artisti Alice Occhiali e Valerio Peroni. Non solo, insieme a loro sono presenti gli artisti Maria Ana Bernauer, Barbara Faonio, Oriana Cardaci, Paola Favoino, Diego Colaiori, Ermanno Baron, Michael Thieke, Gino Maria Boschi, Marco Bonini, Ashai Lombardo Arop, Ludovica Manzo, Assalti Frontali, Francesco Muzzioli, e i poeti Valerio Magrelli, Eliana Leshaj e Anja Kampmann.
Il Manifesto Spores, scritto da Federica Altieri e Francesco Muzzioli, recita: «Spore è una manifestazione elaborata da un collettivo di artisti, appartenenti a diversi ambiti dell’arte performativa, tesi alla rielaborazione del concetto di creatività. Creativa in senso dirompente è, appunto, la vocazione dell’arte moderna, che per questa via si collega a una richiesta di libertà, e di conseguenza a una utopia di tipo anarchico; anarchia come espressione dell’uguaglianza, di una pari misura di tutte le componenti. Così, le diverse arti possono convergere e potenziarsi, partecipando attivamente, ciascuna a suo modo, per incentivare i sensi, o addirittura producendo polisensi. Il principio anarchico-creativo, allora, può manifestarsi nel passaggio da una struttura verticale ad ipotesi formali orizzontali dove ogni “figura” viene rielaborata e dove la direzione artistica diviene pura interrelazione».
L’evento si è tenuto alle 21 al Goethe Institut e ha accolto numerosi spettatori di tutte le età, specie i cosiddetti baby boomers. Ad accompagnare gli spettatori nell’edificio sono le poesie recitate da tre degli attori presenti: due donne vestite con la toga bianca e un uomo con l’abito. Già all’ingresso comincia il vero e proprio viaggio intermediale: musica, realtà aumentata, teatro, metaverso, danza, poesia, fotografia si uniscono in un percorso interattivo con il pubblico. Le arti dialogano tra loro mantenendo la propria aura ma l’esperienza performativa viene sviluppata attraverso le tecnologie e le narrazioni immersive. La tecnologia, quindi, è al centro del progetto Spores e circonda tutti gli spettatori presenti, aprendo un discorso sulla natura che deve venir incontro a quest’ospite. Ma essa fa fatica a adattarsi a questo contesto virtuale e si trova attualmente come in uno stato indeterminato tra vita e morte, tra violenta degradazione e lenta rigenerazione.
Ci ritroviamo, come primo approccio, in un ambiente emotivamente sintomatico in cui coesistono le realtà più leggere - canti di uccelli in sottofondo - con le realtà più terrorizzanti – foto di uccelli neri, buttate a terra, o di alberi, attaccate al muro, in cui entrambi i soggetti sembrano carbonizzati o nello stato di relativa morte dovuto al freddo invernale. Di grande impatto emotivo è anche la proiezione di alcune immagini riprese da una famiglia ucraina prima che scattasse la guerra, mentre una chat di Whatsapp scorre verso il basso in maniera fulminea. La vita naturale si mette da parte per dare risalto ai media e si intuisce la maniera in cui la più potente liberazione delle forze possa anche diventare il più grande rischio: dal caos provengono sia l’arte sia la guerra.
Si entra poi nella sala di un teatro scomposto, in cui le sedie sono disposte in disordine dalla creazione di “habitat” di Mastrella. L’attenzione rivolta verso lo spettacolo vi diventa anche necessariamente rivolta verso l’altro spettatore che ci troviamo di fronte. Si scopre il calore sensuale e tribale dell'attrice in scena, rialzandosi tra le foglie morte su cui era sdraiata, illuminata dalle luci arancioni, che diventa esperienza sensoriale della rigenerazione della Madre Natura. Essa dà in maniera incondizionata, oppure presta? Soffre che il suo dolore non sia compreso? Le politiche contemporanee che tendono a considerare con terrore la Natura come mera fonte di risorse, esaurendosi a poco a poco, dimenticano qualcosa di fondamentale: la Terra è passiva soltanto nella sua estrema generosità, ma si rigenera con dolore e volontà. Potente, ardente, l’attrice si mette a ballare, a correre, a gridare parole che cantano la culla originaria, riportando sé stessa alla vita. Ricorda così la sua presenza: "Io ti accoglierò. Nuda. Pronta a nutrirti e a rigenerarti". Ma la Terra stessa ricorda gli scogli della velocità. "Ma sei uomo, non sei Vento!". L'uomo, perso nel vortice della velocità infinita delle reti e della logica neocapitalista del consumo, cresce ingegnosamente veloce come il vento. Ma veloce come il vento, è solo il vento stesso. Il regno della neghentropia non è quello dell'indifferenza, anzi, è l'accoglienza della burrasca cosciente.
Ad occhio nudo qualcosa dello spettacolo risulta anche anacronistico e fuori contesto, come le interviste - inserite successivamente alla performance sulla natura - fatte da Antonio Rezza, ad alcuni cittadini romani di periferia sulla guerra e su quanto essa abbia influenzato la loro esistenza. Tuttavia vediamo che, inoltre al rimandare in maniera evidente ad una tematica già presente nella prima sala, queste chiacchierate così coinvolgenti e per certi aspetti ironiche vivono anche di indeterminazione. Le interviste, infatti, vengono proiettate simultaneamente su due teli e su un palcoscenico, ma ogni visuale vive a modo suo: quella sul palco è la forma naturale – essendo un qualcosa che riguarda il teatro in primis non poteva essere altrimenti – mentre ai suoi lati la visuale è contaminata da un forte senso di artificiosità che non rende concreta del tutto l’immagine a cui si sta assistendo, che risulta travagliata più dagli elementi scenici che da l’intervistatore stesso.
Dunque, determinare con certezza le coordinate dello spettacolo avrebbe come conseguenza di dimenticare la legge fondamentale: l'ordine non può che provenire dal caos. Il disordine apparente dello spazio, creato dall'esplosione dei poli di attenzione immaginata da Mastrella, rimanda a quest'ultima necessità: girarsi, percepire, lasciarsi sorprendere, mancare qualcosa, immaginare. Vedere nel senso di una cristallizzazione momentanea, ovvero cercare sempre nuovi assemblaggi creativi.
L’obiettivo principale dell’ideatrice è proprio immergere lo spettatore in un mondo intermediale dove regna perciò l’anarchia, il caos e soprattutto l’indeterminazione (poetica e non), di conseguenza la mancata comprensione da parte del pubblico fa parte del gioco. Se si guarda sotto quest’ottica Spores lascia qualcosa, perlomeno una riflessione sulla nostra condizione ormai postmediale. Uno sguardo diretto al futuro con un sapore amaro quello di Federica Altieri: «La regia non esiste, non ci sono attori né artisti. Ci sono gli uomini e le donne».
Isac Jacky Debach, Aurore Dupaquier