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"Immacolata Concezione" dei Vucciria: amor vincit omnia

NAPOLI – Guardi la scena e ti senti pericolosamente avvinto, avvinghiato da profumi decadenti, da un odore di fiori marci e cromature alla David Lachapelle, in un miscuglio tra l'erotico e il cimiteriale, in un afflato caldo e vulcanico, incandescente e dannunziano. In queste coloriture che si spandono, in questa atmosfera demodé, in questo respiro melò che traspira e trascende, i Vucciria espongono la loro cifra, sempre più dolorosi e caravaggeschi, in quel solco tra il dramma e la sensualità, tra lo strazio e la passione dove protagonista è il senso di colpa intriso di tormento, trasporto ed emozione. Un gazebo centrale, che ricorda il piedistallo delle danzatrici di carillon, e attorniato da manichini, ci fa cadere in preda alle percezione più estreme: il loro è sempre più un teatro sensoriale; sembra di sentire i rasi e le sete sotto i polpastrelli, sembra di sentire nelle narici i profumi pesanti o le colonie, sembra di vedere il giallo dei campi di grano povero, sembra di sentire il sudore dei corpi. Un teatro tattile e immaginifico, che ti porta altrove con l'aroma di incenso sparso, con i mandarini a spruzzare l'ambiente di quell'acido rurale, così fresco così pungente.

116-immacolata.jpgI Vucciria sono lavici: nelle loro rappresentazioni eros e thanatos si inseguono, vanno a braccetto, si confondono, si cercano per poi, finalmente, morire l'uno tra le braccia dell'altro, sovrapponendosi, perdendosi l'uno nell'altro in un amplesso caustico e definitivo. Come se le rime aspre di Rimbaud incontrassero l'Urlo di Munch, come se il dandy che albergava dentro Oscar Wilde ballasse con le facce cancellate di Francis Bacon, come se l'abbraccio di Rilke finisse la sua corsa nelle paludi lagunari veneziane di Thomas Mann. Come frullare i Ricci/Forte con Emma Dante e Annibale Ruccello. Teatrali nel senso più alto del termine, il gusto barocco dei Vucciria mette al centro la carnalità (la materia umana, i suoi bisogni e desideri) così come un forte senso estetico (ricordando certe ambientazioni prettamente “siciliane” di Dolce & Gabbana o altre “spagnoleggianti” aldomovariane). Carne tremula e sopraffazione in questo “Immacolata Concezione” (vincitore dei Teatri dei Sacro; visto al ridotto del Teatro Bellini, che lo produce). Ti frugano dentro, ti mettono con le spalle al muro, ti obbligano a guardare il mondo con prospettive diverse in un'altalena di sensazioni che oscillano e fibrillano, che spostano e confondono: la violenza sta insieme ai sorrisi, il piacere convive con il predominio, gli uomini scambiati con le bestie in un magma inscindibile dove la morale si deve fare da parte e il contesto sopravvive solo all'interno di regole primordiali, arcaiche, primitive, ancestrali, animalesche.

Una ragazza (entra in scena nuda Federica Carruba Toscano) permutata dal padre con alcune capre, una ragazza ingenua, solare, pulita, talmente cristallina da diventare vittima di un sistema dal quale però non sente di essere aggredita ma che, attraverso la sua gentilezza e amore e grazia, riesce a trasformare in dolcezza e pace. Una prostituta di bordello che non sa di esserlo e che soprattutto rimane miracolosamente vergine dopo gli innumerevoli incontri con tutti gli uomini del paese, un piccolo borgo polveroso dove tra i clienti in fila, come da favola urbana deandreiana che si rispetti, non possono mancare né il prete né il boss del circondario, il potere spirituale e quello terreno. Concetta, questo il suo nome, emana una luce limpida, propaga un'armonia che riequilibra l'odio e la rabbia, rasserena, calma, addolcisce; con lei gli uomini parlano o si fanno abbracciare, addirittura piangono, abbandonano la loro parte aggressiva e tornano ad essere bambini bisognosi di una carezza, del contatto fisico che quel mondo rude e disperato ha estirpato dai 53825949_2381716232058553_6338901429977088000_o-1024x684.jpgpossibili desideri.

In quest'affresco caleidoscopico di toni tenui e azioni gravi, ecco Anna la maitresse tenitrice della casa chiusa (Joele Anastasi en travestì, anche drammaturgo), Don Saro il rais del quartiere (Enrico Sortino solido e convincente) ed altre figure (che impersonano Ivano Picciallo e Alessandro Lui) in un tourbillon di piccole coreografie che si trasforma in coro tra percussioni e ventagli, oppure corse e vestaglie in una musicalità che tutto riempie, dove importanti emergono la ritmica e il timbro del movimento intessuto con le luci, le parole, ora scarne adesso pennellate, intrecciate con le melodie e le arie, le sonorità degli oggetti, i fischi e i giornali svolazzanti, in un continuo vorticare attorno a questo giardino d'inverno (quasi un peep show di Amsterdam) o un piccolo palcoscenico dove si sale per tornare ad essere diversi, dove si entra per cercare quella felicità lontana nel tempo, dentro il quale ci si fa volentieri fagocitare per ritrovare quel Paradise Lost che si è frantumato crescendo.

Concetta è una Circe benefica e benevola, una Santa (una sorta di Penelope Cruz nel ruolo di Italia in “Non ti muovere”), una sirena di fotoImmacolataConcezione_©ES18-1.jpgUlisse che circuisce i maschi solo per perdonarli delle loro miserie e dolori e mestizie. Questa ragazza che ha portato l'armonia, porta anche la guerra nel piccolo centro, conflitto scaturito dalla gravidanza (a seguito di uno stupro fuori dal bordello mentre era ubriaca, violenza che perdonerà amando l'autore del gesto, Turi, che diventerà suo compagno) della giovane (come fosse la Vergine Maria) che il malavitoso vuole far concludere con un aborto o con l'uccisione del bambino (come Erode). Il racconto della vicenda, intervallato con la leggenda di Colapesce, ci mostra l'involuzione degli uomini che, sacrificando come agnello pasquale la vita piena di celestiale grazia della giovane, tornano ad essere animali, perdono la loro umanità, si trasformano in capre con il campanaccio al collo (come tanti ciuchini nel Paese dei Balocchi o come, appunto, i maiali di Circe), tornano ad essere manichini governati dall'istinto, tornano ad essere le scimmie di “2001 Odissea nello spazio”. Come se questi uomini non avessero riconosciuto in lei quella forza alta e sovrannaturale, divina e salvifica, come il popolo ebraico non ha riconosciuto Gesù crocifiggendolo al pari dei due ladri.

Tommaso Chimenti 12/05/2022

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