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Il viaggio - psicodramma di Orfeo nelle viscere del proprio ego

GENOVA – Riprendendo la tradizione genovese degli spettacoli disposti in grandi spazi scenici, del teatro fuori dal teatro come quelli ancora negli occhi della gente, dalla Diga Foranea al Vecchio acquedotto, dal Forte Sperone alla Fiumara Ansaldo, questo “Orfeo rave” (ci ha ricordato per acume e complessità, per cromatismi e stratificazioni, per stupore e monumentalità alcune evoluzioni de La Fura dels Baus) è al tempo stesso esperimento riuscito (e non era affatto scontato all'interno della Fiera del Mare, adesso commissariata ed in procedura di fallimento, un tentativo questo di “restituirla” alla città) mastodontico, gigantesco, cantiere di idee sciolte in azioni concrete, enorme, colossale viaggio (cinquecento persone spostate e trasportate all'interno del Padiglione Blu) dentro le prove, gli esami, i retaggi, gli ostacoli, titanica esperienza, imponente messaggio al teatro italiano: si può fare. Le idee raffinate e pop di Michela Lucenti (una voce suadente e stupefacente, sublime e strabiliante), del suo Balletto Civile, e di Emanuele Conte, fuse insieme e annodate e impastate hanno dato vita e linfa ad una entusiastica, enfatica, eccentrica, eccitante Odissea titanica rock e poetica, trasognante e coloratissima nelle viscere dei nostri sentimenti più nascosti.orfeo2
Ad ogni scena come scendere un gradino nell'abisso nero dei pensieri, a domandarci sulla vita e sull'amore, sul senso di un rito collettivo che, candele accese e piedi a scalpicciare e panche da chiesa e impalcature a riempire la visuale, costringeva a mettersi, fisicamente e mentalmente, dentro il mito di Orfeo, tutti noi camminatori spavaldi nelle viscere, nel budello dell'antichità, dell'ancestralità delle nostre paure. Prendere e tenere o fuggire e scappare, salvarsi oggi o salvarsi per sempre. Piccoli, fragili, inutili gli uomini davanti al destino degli Dei, del mondo, dell'universo, del Fato che puntualmente li schiaccia, li ridicolizza, li tratta per ciò che sono.
Camminiamo ammassati, gomito a gomito in questa chiesa laica di cemento e colonne squadrate ruvide che a passarci i polpastrelli si rigano e se ne sente il fresco. Siamo dannati danteschi in attesa della punizione, della visione, della scoperta, bambini dentro il Luna Park, dentro il tunnel degli orrori, salvifico ed esorcizzante. I teli di plastica che volano e fluttuano coprono e celano le scene che verranno e ci sono narratori, Ciceroni e Caronti e Cerberi, ad indicarci la strada per riveder le stelle e facciamo zig zag tra cavi e tubi, acciaio e graticce, ferro e travi che affascinano con la loro portata di archeologia industriale qui ormai svuotata e depressa e arida della sua funzione principale. Siamo stipati nella nostra processione, in questo cupo andare senza apparente meta le impalcature ci appaiono come piramidi, oasi nel deserto, gli attori ci strisciano addosso, intorno, come insetti, come ragni, come millepiedi viscidi sgattaiolano furtivi e lascivi, sottili e brulicanti come zombie di cerone e pelli da caprone in un impianto estetico che ci rimanda ad un'iconografia di mistero e dannazione, di leggende e biblici racconti.
E' un viaggio quello di Orfeo diviso tra il partire e il tornare, un “essere o non essere” alla ricerca di Euridice da una parte, di se stesso dall'altra. “Gli uomini temono più l'amore della morte” è il canto dolente, “E così si persero per paura di perdersi” è la fuga continua dei guerrieri forti con le lance meno a giostrare con i propri sentimenti senza risultarne schiacciati. E passa il rap orfeo1e l'hip hop mentre Euridice ci somiglia sempre più a Ofelia e Apollo è un azteco, e scorre la techno e la latina, la gitana e i corpi si fanno dorati, i cappelli a cilindro, le paillette e i boa di struzzo insieme alle lamiere in un immaginario che deborda di segni, e arriva il musical. Sottolineiamo la scena dove Aristeo (Maurizio Camilli, esperto, pieno, corposo) ci racconta seduto su un barile sospeso, nei suoi abiti sporchi e cappello verde il tentativo di stupro ai danni di Euridice, azione che la porta ad essere morsa dal serpente, suo viatico per l'Inferno; impossibile non rivederci Massimo Bossetti ed il caso di Yara Gambirasio. O quella dove Ade e compagna (Enrico Campanati eclettico, incantevole e brillante), anziani annoiati sul divano, rievocano il momento quando accolsero il giovane e noi lì davanti diventiamo la giuria popolare di un talk o di un reality televisivo.
La domanda di fondo continua nei secoli a rimbalzare e tuttora a far eco: perché Orfeo si è voltato a guardare Euridice prima di essere uscito se sapeva che questo suo comportamento avrebbe incenerito l'amata? Perché non voleva riportarla davvero in vita o per la paura di riaverla per poi, è il corso della Natura, riperderla nuovamente? Si è voltato per egoismo o perché credeva di essere ingannato dagli Dei che mai gli avrebbero concesso il privilegio di far uscire Euridice dall'oltretomba o perché scendere agli Inferi era più una sfida personale, ormai vinta, un capriccio più che una reale volontà di riportare in vita la compagna? “Si vede bene solo con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”, Antoine de Saint-Exupéry.

Orfeo Rave, produzione Teatro della Tosse. Fiera del Mare, Genova, dal 7 all'11 maggio 2016

Tommaso Chimenti 16/05/2016

Nell'ultima foto: Maurizio Camilli

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